<p>Mi e' sempre sembrato evidente che condannare una persona alla detenzione fino alla morte - con cio'
privandola per sempre della quasi totalita' delle liberta' personali e delle relazioni sociali al di fuori delle
quali l'umanita' e' pressoche' annichilita - costituisce quasi una sorta di condanna a morte in forma differita
attraverso una segregazione senza speranza che si configura come una tortura senza scampo.
La Costituzione della Repubblica Italiana, che all'articolo 13, comma quarto, stabilisce che "e' punita ogni
violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di liberta'", e che all'articolo 27,
comma terzo, stabilisce che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' e
devono tendere alla rieducazione del condannato", ed al comma quarto del medesimo articolo ribadisce
che "non e' ammessa la pena di morte", ebbene, inequivocabilmente dichiara la flagrante illiceita' della
pena dell'ergastolo.
Ogni essere umano ha diritto alla vita e alla dignita'; e cosi' come e' inammissibile l'omicidio, e' altresi'
inammissibile la perpetua segregazione di una persona dall'umanita' e l'imposizione dell'incessante tortura
del sapersi per sempre privati di tantissima parte di cio' che rende umana l'umana esistenza.
Noi crediamo che ogni essere umano abbia diritto alla vita e alla dignita'.
Chi commette un crimine, anche gravissimo, non cessa di essere un essere umano. E tutta la cultura penale
moderna sostiene che la pena debba avere come fine non la distruzione della persona che il crimine ha
commesso, ma il suo recupero al patto fondamentale di solidarieta' con gli altri esseri umani che col suo
crimine ha rotto.
La riflessione giuridica mondiale da anni muove verso il concetto di giustizia riparativa, e molte sono le
esperienze gia' in corso che alla mera segregazione in un tempo svuotato di significati e aperture e nella
compressione dei corpi in spazi astratti e cubicolari, sostituiscono invece attivita' pratiche socialmente utili
in luog