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Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza

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La vera storia di come i Pfas hanno -dolosamente- contaminato l’Italia. J’accuse: enormi responsabilità di
Magistratura e Istituzioni. Oggi siamo ad un punto di svolta.
La storia delle lotte dal 1990 in Italia contro i Pfas è compresa nelle circa 500 pagine del Dossier “Pfas. Basta!”
a cura di Lino Balza del “Movimento di lotta per la salute Maccacaro”. E’ disponibile a chi ne fa richiesta.
Qui di seguito una sintesi cronologica,
in particolare comparata tra Solvay/Piemonte e
Trissino/Veneto.

I Pfas sono composti chimici (sostanze alchiliche perfluorurate e polifluorurate) nati negli anni quaranta negli
Stati Uniti (3M). Per le loro qualità di resistenza basti ricordarli quali rivestimento dei contenitori di
esafluoruro di uranio utilizzato per la bomba atomica. I loro effetti tossici e cancerogeni su lavoratori e
ambiente erano conosciuti (indagini ’78 Dupont, ’80 3M) e nascosti dalle aziende produttrici (Dupont, 3M,
Solvay, Miteni ecc.). Nell’Allegato 1: Cosa sono i Pfas. Come uccidono.
Nell'agosto 2001 l’avvocato Robert Bilott ha presentato un'azione legale collettiva (Class Action) contro la
DuPont (otterrà un accordo di 671 milioni di dollari per conto di più di 3.500 querelanti in Virginia
Occidentale.)
Negli Stati Uniti l'EPA (Environmental Protection Agency) ha ufficialmente chiesto ai colossi 3M, Du Pont,
Arkema, Asahi, Ciba, Clariant, Daikin, Solvay Solexis di sospendere progressivamente la produzione e l'utilizzo
del PFOA (acido perfluoroottanoico capostipite dell’intera famiglia Pfas) e di eliminarlo entro il 2015. La 3M
cessa nel 2002, la Dupont nel 2013.
Nel 2005 la Du Pont ha sborsato oltre 85 milioni di dollari agli abitanti della West Virginia e dell'Ohio per
avvelenamento delle acque, e ha patteggiato con l’EPA 16,5 milioni di dollari per occultamento di
informazioni.
Nel 2008 lo Stato del Minnesota ha citato in giudizio la 3M (otterrà un risarcimento di 850 milioni).
Nel 2006 il Pfoa è definitivamente dichiarato pericoloso per tossicità e cancerogenicità dalla comunità
scientifica statunitense. Però Miteni continua a produrlo a Trissino, Solvay a utilizzarlo a Spinetta Marengo,
affiancandolo (senza autorizzazioni AIA) a perfluorurati altrettanto pericolosi: il vecchio ADV e il nuovo cC6O4.
Finalmente, tra il 2002 e il 2007 lo studio europeo Perforce ha monitorato le acque dei maggiori fiumi europei
per individuare il principale inquinamento. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR fa emergere che la
concentrazione record di PFOA è stata riscontrata nel fiume Po, alla chiusura di bacino a Pontelagoscuro (FE)
(200 ng/l quando negli altri fiumi europei è intorno ai 20 nanogrammi), con picchi di 1.270 ng/l nel fiume
Tanaro affluente del Po e di 1.500 ng/l nel suo affluente Bormida: dove scarica lo stabilimento Solvay di
Spinetta Marengo (Alessandria), responsabile dunque dell’avvelenamento del Po.
Per quanto sopra, Lino Balza, per la nostra Associazione, nel 2009 deposita contro Solvay Vedi allegato 3
esposti alla Procura di Alessandria -affinchè agisca di competenza- per il Pfoa, ma -attenzione, siamo nel
2009- anche per cC6O4 e ADV. Denuncia che il PFOA è anche presente nelle falde e denuncia che l’Arpa non
ha effettuato analisi negli scarichi Solvay pur conoscendo il dibattito scientifico in corso da anni e i
provvedimenti internazionali, né ha messo in atto piani di tutela ambientali secondo i criteri legislativi.
Denuncia e documenta l’altissima presenza del Pfoa -tossico e cancerogeno- nel sangue dei lavoratori, e
dunque dei cittadini residenti. (tutti, però, non saranno sottoposti a monitoraggio ematico disattendendo
anche le direttive europee). La denuncia è estesa a tutte le inerti Istituzioni locali e agli inermi organi di
informazione. Tre denuncianti subiranno la rappresaglia del licenziamento.
Nel 2009 Solvay, consapevole dei rischi delle sostanze, per reato appunto doloso è chiamata dalla Procura di
Alessandria a rispondere di disastro ambientale per una ventina di storici inquinanti come cromo esavalente,
DDT, arsenico ecc. Il processo comincia nel 2011 (finirà in Cassazione nel 2018 derubricato a reato colposo)
però il capo di imputazione sui Pfas viene lasciato cadere malgrado fra le contaminazioni attive ci fosse anche
il Pfoa con 28.000 nanogrammi per litro nella falda, e malgrado l’epidemiologo regionale Ennio Cadum
sostenesse la necessità di monitorare tutta la popolazione residente vicino allo stabilimento.
Il CNR aveva ricevuto mandato di “cercare” le sorgenti; tre anni dopo, nel 2012, Arpa arriva a individuare un
picco di 120mila nanogrammi di Pfoa nelle acque di scarico di Solvay che vengono convogliate nel fiume
Bormida, fino al Po.
Storica fornitrice di Pfoa allo stabilimento di Spinetta Marengo è la Miteni a Trissino, in provincia di Vicenza,
ex Marzotto controllata all’epoca dalla società giapponese Mitsubishi. Indisturbata da sindacati e politici,
Miteni sta utilizzando dagli anni ‘60 la falda e il torrente Poscola per scaricare le acque di raffreddamento,
trattate come pulite. Che invadono acque, terreni e aria di tre province: Padova, Vicenza e Verona, per 593
chilometri quadrati; l’acqua è utilizzata da oltre 350mila persone.
Nel 2011 il CNR analizza le acque del Fratta Gorzone, fiume che raccoglie le acque del Poscola: 2.000
nanogrammi per litro. Nel 2013 l’Arpa conferma la contaminazione più estesa di Europa, sia per quantità di
Pfas sia perché inquina tutti i ricettori: falda, fiumi e acquedotto. Nelle province venete per poter continuare
a utilizzare i pozzi vengono posti filtri a carboni attivi. I comunicati ufficiali alla popolazione sono
tranquillizzanti, i sindaci dei Comuni si spendono perché l’acqua del rubinetto venga utilizzata senza timore.
E pensare che negli scarichi Miteni del 2011 il cC6O4 c’è già.
Così, malgrado gli studi avessero dimostrato la trasmissione dei Pfas all’essere umano attraverso gli alimenti
e già nel 2009 la Commissione europea avesse finanziato uno studio sull’impatto di dodici Pfas negli alimenti,
così, in questa narcosi politica, solo nel 2014 la Regione Veneto conduce un primo campionamento nei
vegetali e nel 2017 anche negli animali: con risultati di positività. Però Miteni non viene chiusa d’autorità.
La Regione Piemonte, invece, addirittura solo a febbraio 2022 incaricherà un primo monitoraggio su uova e
latte entro due chilometri dal polo chimico di Solvay, che indicherà la presenza di cC6O4 nelle uova di
produzione domestica e ADV nel latte industriale. Si giustifica dietro il paravento che Solvay non consegnava
lo standard per le analisi.
Così, in quella narcosi politica, solo nel 2015 in Veneto vengono raccolti i primi campioni di sangue su parte
della popolazione, soprattutto sugli agricoltori e allevatori che esportano i prodotti. A inizio 2016 l’Istituto
Superiore Sanità ISS invia i risultati alla Regione Veneto: il Pfoa arriva a 750 nanogrammi per litro nel sangue
degli agricoltori e tutte le persone hanno valori che superano la quantità media di 8 nanogrammi per litro.
Però Miteni non viene chiusa d’autorità.
Nel 2017 la Regione Veneto inizia a campionare la fascia adulta della “zona rossa” (64mila persone in un
“Piano di sorveglianza” per 23 comuni dove l’acqua è contaminata sia in falda sia in acquedotto): non si tratta
della ben più ampia indagine epidemiologica su mortalità e morbilità per patologie correlate ai Pfas preparata
dai tecnici e medici di Regione e ISS, stoppata dalla politica (ministra Lorenzin e/o governatore Zaia?) e
desaparecida. Però Miteni non viene chiusa d’autorità.
A sua volta, nello stesso periodo, anestetizzata al pari di sindaci e sindacati, la Regione Piemonte addirittura
NON sta effettuando il benché minimo prelievo ematico malgrado che gli esposti e le indagini epidemiologiche
(l’ultima sarà nel 2019) pur evidenziano gli eccessi di mortalità della popolazione alessandrina.
Solo nel 2018 - dieci anni dopo gli esposti alla Procura di Alessandria - in Veneto si inizia a parlare ufficialmente
dei cC6O4 (privi di autorizzazione AIA anche per Solvay): solo quando Miteni ne fa autodenuncia a seguito
delle indagini aperte dal NOE Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri di Treviso. Però Miteni non viene
chiusa d’autorità
Nelle audizioni alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle ecomafie (2020-21) il direttore Andrea Diotto
dirà che Solvay utilizza il cC6O4 dal 2013 e Claudio Coffano, responsabile delle autorizzazioni ambientali della
provincia di Alessandria, indicherà invece il 2017. Mentono spudoratamente entrambi: fanno testo i miei
esposti dal 2009! Insomma, già in uso nel 2009 a Spinetta e brevettato nel 2011, il cC6O4 (con ADV) è stato
quindi prodotto senza autorizzazione fino al 2020: un decennio in cui Solvay arriva a produrne 40 tonnellate
l’anno.
Nel 2018 la Regione Veneto pubblica livelli spaventosi di PFOS e PFOA negli ex dipendenti della Rimar e della
Miteni: il controllo riguardava 292 lavoratori del periodo 1968-2018. Non solo, la Regione riscontra fra gli
operai un eccesso significativo per il cancro al fegato, ipertensione e diabete mellito.
Insomma, da anni Miteni doveva essere chiusa d’autorità, ma solo nel 2018, solo quando il consiglio di
amministrazione della società (ICIG3) ha deliberato il deposito di un'istanza di fallimento, Miteni chiude.
Solvay di Spinetta Marengo resta l’unica produttrice di Pfas in Italia.
Solo dopo una prima archiviazione nel 2013, solo dopo le indagini dei carabinieri NOE nel 2016, solo dopo nel
2018 il secondo filone su autodenuncia di Miteni di cC6O4 e GenX, finalmente nell’ottobre 2019 inizia il
processo a Miteni (Mitsubishi, ICIG3 e Miteni) ma, purtroppo, per imputazioni non dolose e senza prevedere
risarcimenti per le Vittime.
A fronte dell’inerzia (per usare un eufemismo) di Sindaco e Regione, nel 2022 il “Movimento di lotta per la
salute Maccacaro” con il “Comitato Stop Solvay” organizzano una indagine di campionamenti ematici
pubblici, affidata all’Università di Liegi, che riscontra angoscianti livelli di PFAS nel sangue della popolazione,
soprattutto dei lavoratori Solvay. L’indagine dimostra il nesso causale tra l’inquinante PFAS e le patologie
PFAS, a conferma dell’ennesimo studio dell'ARPA che ha raccolto i dati dei ricoveri ospedalieri tra il 2001 e il
2017, e confrontando la popolazione del sobborgo spinettese con quella del vicino capoluogo di Alessandria
situato a più di 3 km di distanza. E’ evidente che gli abitanti di Spinetta, a partire dai bambini, corrono un
rischio maggiore di sviluppare malattie endocrine, tumore al fegato, tumore ai reni, ipertensione, malattie
respiratorie, patologie cardiovascolari eccetera. (Nel corso dell’indagine, la Televisione Belga RTBF ha
prodotto il film documentario, di Emmanuel Morimont con Santos Hevia e Valérie Dupont).
Trasmettendo la documentazione, al procuratore capo di Alessandria, Enrico Cieri, ho evidenziato che, tra gli
spinettesi analizzati, i dati più abnormi riguardano gli ex operai Solvay: i quali adesso hanno 39 μg/l, un
valore che se fosse estrapolato (con il sistema del dimezzamento ogni 3,7 anni) nel 2013 avrebbe superato
quota 300 μg/litro! (Ad esempio, il mio livello, pur non essendo io adibito in reparto in produzione, sarebbe
stato 100 μg/litro! Criminale.)
Ad oggi, si sono infittiti gli studi scientifici indipendenti, internazionali e nazionali (per tutti, la recente analisi
comparativa dell’Università di Bologna e dell’Università di Padova) dai quali emergono chiaramente gli
effetti dannosi della contaminazione da Pfas nei nostri organismi, dall’infertilità ai danni allo sviluppo fetale e
al sistema immunitario, dalle patologie endocrinologiche alle malattie di cancro, all’incidenza delle malattie
cardiovascolari eccetera. Per contro, l’indice del mondo ecologista è puntato sulla “strategia della camomilla”
della politica nazionale e locale al servizio delle lobbies industriali guidate da Solvay.
Ad oggi, Miteni di Trissino, fallita e chiusa, non è ancora stata messa in sicurezza per impedire la
contaminazione delle falde venete (i 1000 carotaggi promessi dal governatore Zaia), tanto meno è iniziata la
bonifica del sito: con progetto pubblico e finanziato dalle istituzioni in quanto Miteni & C. se la sono squagliata
all’estero.
Ad oggi, la gravità dell’emergenza sanitaria è anche legata all’accesso alle analisi del sangue: la Regione
Veneto le limita ai residenti della zona rossa nati in determinati anni, né tutti gli esiti dei test sugli abitanti
sono ancora stati resi pubblici, né sono state territorialmente estese e approfondite ulteriori indagini
epidemiologiche, su mortalità e morbilità, per le patologie correlate ai livelli ematici, atte da un lato a valutare
e individuare strategie efficaci di prevenzione e cura, dall’altro a valutare in sede processuale la gamma delle
responsabilità risarcitorie degli inquinatori. Quanto alla presenza di inquinanti sui prodotti alimentari, la
Regione ha fatto di tutto per limitare la diffusione dei dati,
Ad oggi, il polo chimico Solvay di Spinetta Marengo, malgrado la sentenza di Cassazione, non è ancora stato
bonificato né in terra né in cielo né in acqua per la “maledetta ventina” di inquinanti (cromo esavalente,
cloroformio, cromo totale, tetracloruro di carbonio, tetracloroetilene, tricloroetilene, triclorofluorometano,
diclorodifluorometano,
diclorofluorometano,
nichel,
antimonio,
arsenico,
bromoformio,
dibromoclorometano, bromodiclorometano, fluoruri in concentrazione addirittura da 2.946 a 57.404 μg/l ecc.
eccetera) anzi ha aggravato il delitto e lo ha esteso in provincia. Né per queste violazioni -dolose- è stato
aperto un nuovo processo. Neppure dopo il disastro ecosanitario dei Pfas acclarato dalle indagini ambientali
ed epidemiologiche.
Ad oggi, la strategia industriale di Solvay si regge su una penetrate attività lobbistica in politica, sorretta
quanto basta da una poderosa propaganda mediatica (addirittura della presidente Ilham Kadri in persona),
da noi regolarmente e ripetutamente demolita. Vedi l’allegato 2. Per ciò: scoperte fantascientifiche col
biossido di titanio. Per ciò: la fantasiosa truffa mediatica dei ciclopici filtri che sarebbero in grado a Spinetta
di rilevare e trattare, gestire e monitorare i contaminanti Pfas nelle falde e nelle reti idriche. Ovviamente non
nell’atmosfera. Anzi i filtri dovrebbero poi essere inceneriti. La multinazionale prometterebbe “zero tecnico”
delle emissioni di Pfas (C6O4, ADV) negli scarichi di acqua con tecnologie al carbone attivo granulare (GAC),
allo scambio ionico (IO) e alle tecnologie di osmosi inversa RO (metodo di filtrazione meccanica in uso dagli
anni ’50 del secolo scorso): diventerebbe “acqua distillata” e addirittura riutilizzata e non scaricata in
Bormida, insomma “ciclo chiuso”. Per ciò, altra luna nel pozzo: “Volontariamente, Solvay entro il 2026
realizzerà quasi il 100% dei suoi fluoropolimeri senza l’uso di fluorotensioattivi, per eliminare pressoché
totalmente le emissioni di fluorotensioattivi”. Per ciò: i misteriosi “sostituti dei Pfas a impatto zero”. Il
corollario di questa inconsistente propaganda sono “La bonifica è a buon punto”, “Il sistema di tutela
ambientale dentro e fuori lo stabilimento è ok”. Insomma, la strategia Solvay è profitti immediati, prendere
tempo e fare proselitismo istituzionale e mediatico. Quindi è chiarissima è la volontà di non chiudere gli
impianti.

Ad oggi, il sindaco di Alessandria, a sua volta, non ha emesso ordinanza di fermata delle produzioni
inquinanti dentro e fuori il Comune, come imporrebbe il principio di precauzione alla massima autorità
sanitaria locale: infatti gli studi già compiuti dimostrano che nella popolazione c'è una grave sofferenza
sanitaria rispetto al resto della provincia e della regione: si muore di più per le molte e note patologie
associate a Pfas e altre molecole prodotte dalla Solvay e da questa immesse nell'ambiente da decenni, come
provato da ripetute indagini ambientali.
A maggior ragione dopo l’indagine dell’Università di Liegi. Dunque il sindaco, in qualità di massima autorità
sanitaria locale, non imponendo -come invece avvenuto nel mondo in analoghe condizioni- l’urgenza che sia
fermata la fonte d’esposizione alla popolazione, si consegna all’accusa di omissione di atti di ufficio. Infatti
Abonante sa, dalle campagne di analisi dell’Arpa, che su Spinetta Marengo dal cielo piovono 5 microgrammi
ogni giorno di Pfas per ogni metro quadrato, e nell’acqua 52 microgrammi per litro di C6O4. Dunque fa solo
il gioco della Solvay -che persegue di procrastinare le produzioni secondo i propri profitti- il pretestuoso rinvio
dell’ordinanza a dopo ulteriori studi epidemiologici per determinare un presunto nesso causa-effetto (Pfas
causa di patologie), quando invece il nesso causale è acquisito scientificamente e internazionalmente. Va da
sé che sempre maggiori studi saranno utili per individuare cure e per determinare l’entità dei risarcimenti.
Infatti l’associazione PFAS/patologie è dimostrata da una mole spaventosa di ricerche esistenti in letteratura
scientifica; l’epidemiologia dimostra le associazioni, sui rapporti di causa indaga la tossicologia; i riferimenti
di letteratura costituiscono la legge generale, i casi locali la confermano con significatività statistica: lavoratori
e cittadini alessandrini esposti hanno una frequenza di patologie maggiore di coloro che non sono esposti a
PFAS. Nella scienza una certezza assoluta non esiste ma è altrettanto vero che esiste una altissima probabilità
del rapporto di causa fra l’esposizione e PFAS tale da escludere il falso positivo.
Ad oggi, la Regione Piemonte, in complicità con sindaco e azienda, rinvia anzi evita il monitoraggio del
sangue a tutta la popolazione, il cui esito sarebbe sentenza capitale per Solvay. Queste storiche omissioni di
atti di ufficio appaiono tanto più gravi alla luce del drammatico campionamento Pfas del sangue di lavoratori
e cittadini che abbiamo nel 2022 commissionato all’Università di Liegi. L’estensione dello screening ematico
fornirebbe dati utili ad individuare strategie efficaci di prevenzione e cura ma anche, in sede processuale,
fornirebbe ulteriori dati per valutare in solido le responsabilità e i danni di Solvay nei confronti dei lavoratori
e dei cittadini.
E’ da stigmatizzare il fatto che Solvay vieta l’acquisto dello standard analitico necessario per eseguire i
monitoraggi del perfluorurato cC6O4 ad eccezione degli enti pubblici di ricerca controllo ambientale, perciò
il Policlinico di Milano, che valida il metodo per misurare nel siero trenta diversi Pfas (su cinquemila), fra cui
il cC6O4 di Solvay, è il solo ora a poterlo cercare nel sangue, in tutto il mondo.

Ad oggi, non è stato ripresentato in Parlamento il Disegno di Legge dell’ex senatore Mattia Crucioli, che
detta “Norme per cessazione della produzione e dell’impiego dei Pfas”. Insomma li mette al bando in
Italia. Vieta la produzione (Solvay), l’uso e la commercializzazione di PFAS o di prodotti contenenti PFAS, ne
disciplina la riconversione produttiva e le misure di bonifica e di controllo. Insomma assume le istanze di tutti
i Movimenti, Associazioni e Comitati, che da anni si battono per eliminare questi cancerogeni
bioaccumulabili e persistenti, praticamente indistruttibili, dalle acque, dall’aria, dagli alimenti, insomma dal
sangue dei lavoratori e dei cittadini altrimenti ammalati e uccisi.
L’assenza di una legge nazionale non giustifica né assolve le gravi responsabilità degli Amministratori Locali:
non è un alibi. Una legge come l’ex DDL Crucioli non pare praticabile a breve nell’attuale quadro politico.
Denunciamo il vuoto: la calamità mondiale dei Pfas (il progetto Forever Pollution Project denuncia oltre
17mila siti contaminati da Pfas in Europa) ha in Italia le sue punte di iceberg nei disastri ambientali e sanitari
(stigmatizzati anche dall’ONU) del Veneto (made in Miteni di Trissino) e del Piemonte (Solvay di Spinetta
Marengo), ma
ormai
non
lascia
indenne
nessuna
regione
della
penisola: Lombardia,
Toscana, Lazio, Trentino eccetera, come abbiamo più volte documentato sul nostro Sito www.rete-
ambientalista.it


Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro






Nella Cartina del territorio della Fraschetta: il numero di decessi per patologie tumorali, suddivisi per
sobborgo (in verde) e per sesso (in blu i maschi, in rosa le femmine). In rosso le sorgenti d’inquinanti
industriali. [Indagine 1996-2012]



Nell’Allegato 1: Cosa sono i Pfas. Come uccidono.

COSA SONO I PFAS
I Pfas sono composti chimici nati negli anni Quaranta negli Stati Uniti. Sono catene di atomi di carbonio,
parzialmente o totalmente sostituiti con atomi di fluoro che rendono indistruttibili le superfici, ad esempio
padelle antiaderenti, indumenti, materiali antifiamma. Sono oltre cinquemila; incolori, inodori e insapori, non
vengono mai degradati dall’ambiente e si accumulano negli organismi. Perciò sono conosciute col nome
inquietante di forever chemicals, sostanze chimiche “per sempre”, inquinanti eterni. In Europa e negli Stati
Uniti i composti a 8 atomi di carbonio, Pfos e Pfoa, sono dichiarati pericolosi e banditi dalla produzione a
partire dallo scorso decennio. In Italia, però, mancano tutt’ora limiti nazionali agli scarichi industriali.
I PFAS sono sostanze perfluoroalchiliche, cioè composti chimici resistenti, ignifughi e idrorepellenti,
utilizzati per rendere resistenti all’acqua e ai grassi molti materiali di uso comune: materiali tecnici,
semiconduttori, ritardanti di fiamma, schiume antincendio, rivestimenti per contenitori di alimenti, padelle
antiaderenti, tessuti goretex, carta, tappeti, pesticidi, vernici, materiali per l’edilizia, prodotti per la pulizia e
l’igiene personale, attrezzature sanitarie eccetera. A causa della loro alta stabilità molecolare, finiscono per
diffondersi in larghe quantità nell’ambiente, dove possono rimanere per anni. I PFAS possono essere rinvenuti
ovunque: nell’aria, nel suolo e nell’acqua: si riversano nelle falde e nei bacini idrici, da dove possono
percorrere grandi distanze ed entrare nell’ecosistema acquatico, arrivando fino all’uomo. I PFAS sono stati
rinvenute nel sangue, nel latte materno, nella placenta, nel liquido seminale e nei capelli.

Per una approfondita comprensione della problematica, un valido riferimento è “HBM4EU DOCUMENTO
PROGRAMMATICO
PFAS
GIUGNO
2022
Iniziativa
europea
di
biomonitoraggio
umano”
file:///C:/Users/medic/Downloads/Policy-Brief-PFAs_IT%20(2)_230721_143026.pdf . Il progetto, che ha
ricevuto il finanziamento del programma di ricerca e innovazione Orizzonte 2020 dell’Unione europea con
convenzione di sovvenzione n. 733032, infatti riassume gli effetti avversi delle sostanze perfluoroalchiliche
(PFAS) sulla salute umana, le principali vie di esposizione per gli esseri umani e in che modo il biomonitoraggio
umano delle PFAS potrebbe essere molto importante per lo sviluppo di una politica in UE. Le PFAS costituiscono
un ampio gruppo di sostanze chimiche artificiali che trovano largo impiego in una vasta serie di applicazioni
industriali e di consumo. Le PFAS permangono nell’ambiente e tendono a bioaccumularsi nelle catene
alimentari. La tossicità di molte PFAS per la salute umana è stata dimostrata.



COME I PFAS UCCIDONO
I Pfas sono onnipresenti così come la loro contaminazione: a cominciare dalle fabbriche dove sono prodotti
(Solvay) o utilizzati. Rappresentano un immane problema di salute pubblica: estremamene solubili in acqua e
grassi, si accumulano nel sangue con una enorme la capacità di interferire con la normale attività degli ormoni
umani, e quali interferenti/perturbatori endocrini sono in grado anche di superare la barriera placentare,
insomma gli studi li hanno associati a problemi dello sviluppo, ipertensione gestazionale, nascita di bimbi
sottopeso, aborto, diabete, colesterolo alto, riduzione della risposta immunitaria, tumori eccetera.
Nel 2015 più di 200 scienziati firmarono un appello alle autorità del mondo perché mettessero al bando tutte
queste sostanze (The Madrid Statement on Poly- and Perfluoroalkyl Substances (PFASs). Un secondo appello
è stato firmato da più di mille scienziati e ricercatori. Importante è anche il manifesto per l’urgente messa al
bando dei PFAS, documento edito nel 2022, condiviso da 122 organizzazioni della società civile europea. La
Unione Europea sembrava decisa a mettere al bando questi composti.
Sono ormai notevoli i dati presenti in letteratura che hanno messo in evidenza tossicità, cancerogenesi e
teratogenica dei PFAS sostanze perfluoroalchiliche: l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo
economico (OECD) fa rientrare all’interno di questa categoria ben 4.730 diverse molecole. L’analisi
complessiva di tutti gli studi condotti sul tema è stata realizzata dai ricercatori dell’Università di Bologna e
dell’Università di Padova che hanno comparato i diversi lavori, pubblicando i risultati in un’analisi
comparativa trascrizionale sulla rivista Toxics., con il titolo “Cross-Species Transcriptomics Analysis Highlights
Conserved Molecular Responses to Per- and Polyfluoroalkyl Substances”. Questo studio del Dipartimento di
farmacia e biotecnologie dell’Università di Bologna e del Dipartimento di scienze cardiache, toraciche,
vascolari e sanità pubblica dell’Università di Padova, è la più ampia analisi della risposta trascrizionale ai
PFAS mai realizzata.
Gli studiosi hanno raccolto 2.144 campioni di sette specie animali tra cui l’uomo, per esaminare le risposte a
livello molecolare dell’esposizione ai PFAS. L’obiettivo è stato evidenziare gli effetti molecolari indotti dai PFAS
non solo al livello dei singoli geni, ma anche su varie vie molecolari e tipologie cellulari. La ricerca offre così una
visione completa dei meccanismi molecolari alla base della tossicità dei PFAS, in modo da offrire dati solidi
su cui basare le scelte necessarie per la salvaguardia della salute pubblica e dell'ambiente.
I dati confermano gli effetti negativi sulla salute. In sintesi:
L’esposizione ai PFAS comporta una regressione del metabolismo e del trasporto dei lipidi e di altri processi
correlati allo sviluppo ovarico, alla produzione di estrogeni, all’ovulazione e al funzionamento fisiologico del
sistema riproduttivo femminile; dunque i PFAS sono dannosi per la fertilità e lo sviluppo fetale.
L’esposizione produce una sovraregolazione del gene ID1, coinvolto nello sviluppo di vari tipi di tumore, tra
cui leucemia, cancro al seno e al pancreas. Inoltre, dai dati emerge che gli individui affetti da neoplasie
maligne dei tessuti linfatici ed ematopoietici, come milza, fegato e midollo osseo, hanno più probabilità di
andare incontro a esiti fatali se esposti continuativamente a questi composti.
L’esposizione provoca l’indebolimento delle reazioni immunitarie, della produzione di anticorpi e delle
risposte alle vaccinazioni, osservato nei bambini esposti ai PFAS durante il periodo prenatale e postnatale;
entrare in contatto con Pfas aumenta anche la concentrazione nel siero dei marcatori di stress infiammatorio
e ossidativo, favorendo lo sviluppo di malattie sistemiche, come il danno epatico e le malattie cardiovascolari,
tra cui l'aterosclerosi e gli eventi tromboembolici.
Attraverso l'analisi bioinformatica dei dati e grazie ai recenti sviluppi nel data mining dell'espressione genica,
gli studiosi sono inoltre riusciti ad analizzare ulteriormente le possibili conseguenze dell'esposizione ai PFAS
attraverso la previsione dei loro effetti sul metaboloma (l'insieme di tutte le piccole molecole presenti in una
cellula coinvolte nei processi dell'organismo). In particolare, è emerso che le molecole di PFAS sono collegate
a un aumento dei livelli di diversi tipi di lipidi: un'evidenza che conferma come l'esposizione a queste sostanze
aumenti la concentrazione di trigliceridi e colesterolo nel sangue.

I PFAS NELLA CATENA ALIMENTARE e i loro effetti sulla salute umana.

Il rischio per la salute umana correlato alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) negli alimenti è
oggetto di ricorrenti studi scientifici per il loro accentuato fenomeno di bioaccumulo e biomagnificazione con
conseguente aumento di concentrazione lungo la catena alimentare.
La contaminazione lungo la catena alimentare, partendo dai vegetali, può realizzarsi primariamente
attraverso due vie, quali il bioaccumulo negli animali terrestri e acquatici e il trasferimento negli alimenti a
partire dai materiali a contatto utilizzati nei processi di trasformazione e confezionamento. Per quanto
riguarda l’esposizione cronica, all’interno degli alimenti la concentrazione più elevata di PFAS è stata
riscontrata nella carne e prodotti derivati, nei prodotti della pesca, nelle le uova e gli ovoprodotti, latte e
derivati.
Gli studi condotti sull’uomo riguardano l’associazione tra l’esposizione prenatale ai PFAS e il peso alla
nascita, l’esposizione prenatale con un aumento di effetti teratogeni o aborto, gli effetti sul sistema
immunitario, il nesso causale tra l’esposizione e l’effetto negativo sulla risposta anticorpale in seguito a
vaccinazione nei bambini, gli effetti sul metabolismo nell’associazione tra l’esposizione e l’innalzamento
dei livelli sierici di colesterolo e dell’enzima epatico alanina-transferasi (ALT), l’associazione con diabete,
obesità e sindrome metabolica.
Gli studi sono incontrovertibili sul piano scientifico, ma non dimentichiamo la pratica molto comune per cui i
“tecnici esperti” passano dalle aziende controllate agli enti controllori, ovvero che le aziende produttrici di
Pfas riescono a infiltrare nei meandri delle istituzioni i propri consulenti “negazionisti” molto utili in sede
giudiziaria (emblematico il professor Angelo Moretto: nel caso sputtanato da L’Espresso).


I Pfas non possono che essere messi al bando perché una volta che sono nell’ambiente non c’è modo di
eliminarli, per ripulire le acque i costi sono altissimi e i territori italiani sono troppo grandi per pensare di
bonificare i campi agricoli. Ma le lobby industriali si oppongono al bando o alla sola sostituzione dei Pfas, alla
ricerca di nuove tecnologie che possono creare altri materiali, degradabili nell’ambiente e senza impatti
sanitari. Eppure molte marche di vestiti e imballaggi già etichettano i prodotti con “Pfas free”. H&M, Zara e
Decathlon investono in materiale ecologico, McDonald’s e Burger King tolgono i Pfas dalle confezioni.
















Nell’Allegato 2 : La strategia Solvay.

Suona la grancassa della propaganda Solvay
Solvay di Spinetta Marengo ha presentato in anteprima alla stampa il cantiere dell’impianto a Carboni Attivi
per il trattamento delle acque industriali di raffreddamento e meteoriche, nonché dell’impianto ad Osmosi
Inversa per il trattamento dei reflui acquosi di processo. Essi garantirebbero “la rimozione pressoché totale
dei fluorotensioattivi PFAS”. Riproponiamo pari pari la spiegazione della bufala che pubblicammo sul Sito
l’anno scorso (e censurata dai giornali): “La più grossa delle “bufale Pfas” propinate a giornali e istituzioni
dalla multinazionale Solvay.
La più grossa delle “bufale Pfas” propinate a giornali e istituzioni dalla multinazionale Solvay è sempre stata
l’inverosimile innocuità sanitaria di PFOA e poi di C6O4 e ADV ovunque prodotti. Cominciò a contraddirsi con
l’annuncio del “Lancio di nuove tecnologie non fluorotensioattive che saranno in piena produzione presso lo
stabilimento di Solvay a West Deptford, NJ entro la fine di giugno 2021. A quel punto, Solvay non utilizzerà
più coadiuvanti di processo fluorotensioattivi in qualsiasi parte degli Stati Uniti. Le nuove tecnologie
consentono lo sviluppo di prodotti che i clienti utilizzano in una varietà di applicazioni che supportano una
società più sostenibile”. Obtorto collo, basta Pfas di Solvay negli Stati Uniti. E in Italia? L’Italia è considerata
terzo mondo, la Provincia di Alessandria per Spinetta Marengo infatti autorizza addirittura l’ampliamento del
C6O4.
Perciò annuncia un’altra truffa mediatica: quella dei presunti filtri che sarebbero in grado a Spinetta di
rilevare e trattare, gestire e monitorare i contaminanti Pfas nelle falde e nelle reti idriche, ovviamente
non nell’atmosfera. La multinazionale promette “zero tecnico” delle emissioni di Pfas (C6O4, ADV) negli
scarichi di acqua con tecnologie al carbone attivo granulare (GAC), allo scambio ionico (IO) e alle
tecnologie di osmosi inversa RO (metodo di filtrazione meccanica in uso dagli anni ’50 del secolo scorso):
diventerebbe “acqua distillata” e addirittura riutilizzata e non scaricata in Bormida, insomma “ciclo chiuso”.
Premio nobel per la chimica alle giovanissime ricercatrici? insegniamo agli americani? Tutto risolto? Niente
affatto. Innanzitutto non c’è la ben che minima garanzia che rimuovano il 100% dei PFAS contaminanti.
Inoltre prevedono costi insopportabili data l’ampiezza del territorio inquinato e inquinante, si pensi solo
alla vastità di frequenti cambi di membrane filtranti. A tacere dello smaltimento a loro volta dei solidi e
dei liquidi di questi trattamenti, cioè incenerimento. I Pfas fanno parte del cocktail di tossici cancerogeni
presenti a Spinetta in atmosfera e nelle falde, i filtri dell’osmosi inceneriti manderebbero altri Pfas in
atmosfera e falde. Inoltre -attenzione- i Pfas sono utilizzati per produrre tantissimi materiali (padelle,
imballaggi, vestiti): come verrebbero bonificati?
Stanti ad Alessandria i disastri ambientale (in acqua e atmosfera) e sanitario (nel sangue), non c’è altra
alternativa etica che chiudere le produzioni. Subito, nel 2022. L’unico rischio accettabile è uguale a zero.
Ma Solvay scrolla le spalle, e manda l’opinione pubblica sulla luna (nel pozzo): “Volontariamente, Solvay
entro il 2026 realizzerà quasi il 100% dei suoi fluoropolimeri senza l’uso di fluorotensioattivi presso il suo
stabilimento di Spinetta Marengo, per eliminare pressoché totalmente le emissioni di fluorotensioattivi”.
Quasi e pressoché sono tradotti: “Una piccola linea di prodotti, strategica per i settori industriali dei
semiconduttori e dell’energia che rappresenta meno dell’1% del volume produttivo, richiederà ulteriori
attività di ricerca per eliminare completamente l’uso dei fluorotensioattivi. Per questa linea verrà utilizzato
un processo di produzione a ciclo chiuso, strettamente controllato, a zero reflui”. Cioè la fantomatica “Osmosi
inversa”. Dunque NON c’è impegno a fermare gli impianti entro il 2026.
Dei sostituti dei Pfas, presunti (quasi e pressoché?) a impatto zero, non si fa menzione, altri segreti industriali,
non autorizzati da nessuno, tutti da verificare se si sta cadendo dalla padella alla brace. Verifica rinviata a
dopo il 2026, nel mentre gli impianti con Pfas staranno marciando e inquinando a pieno volume.
La data 2026 è una promessa, in fede di una “scelta” assunta da Solvay volontariamente, non in forza di una
legge. A maggior ragione perché la proposta a febbraio 2023 di divieto di produzione di tutti i Pfas è promossa
da Germania, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca e Norvegia ma non dall’Italia.
Solvay invita l’opinione pubblica e le istituzioni a guardare la luna nel pozzo, per distogliere l’attenzione
dal Disegno di Legge Crucioli, il solo strumento concreto che metterebbe -da subito- al bando in Italia la
produzione, l’uso e il consumo dei Pfas. I quali, ribadiamolo, sono solo la punta d’iceberg del disastro
ecosanitario del polo chimico di Spinetta Marengo. Purtroppo la strategia della multinazionale belga può
essere vincente.
Secondo i calcoli realizzati dall’ong belga ChemSec, a livello globale Il costo sociale degli PFAS (ripristino dei
suoli e delle acque + biomonitoraggi dell’ambiente + cure sanitarie) ammonta a 17.500 miliardi di dollari ogni
anno, mentre i profitti raggiungono quota 4.000 miliardi. A conti fatti (a prescindere dai costi etici: morti e
malattie che non hanno prezzo), all’umanità converrebbe vietare la produzione e l’uso dei Pfas. E’ quanto si
era proposto per l’Italia il Disegno di Legge presentato dall’ex senatore Mattia Crucioli.


Solvay: una bufala tira l’altra.
La lobby della chimica dei Pfas, capitanata dalla Solvay, dunque, si batte tenacemente per condizionare tanto
gli organismi internazionali quanto le istituzioni nazionali. A questo scopo annuncia “scoperte scientifiche”
che eliminerebbero il Pfas definitivamente dall’ambiente. Il processo, testato al Surface Lab del Politecnico
di Milano, prevede di “ossidare il titanio con la lamiera che esce rivestita da una pellicola per poi entrare nel
reattore ed uscirne praticamente ripulita dalle sostanze: una rete di biossido di titanio illuminato dalla luce e
polarizzato elettricamente permette di trasformare il Pfas in CO2 e acqua”. Insomma, una rivoluzione che
punta ad eliminare l’utilizzo di filtri a carboni attivi, finora proposti come panacea (clicca qui) come
smascherammo la bufala).
A parte il conflitto di interessi che deriva dallo stretto legame di partenariato fra Solvay e Politecnico di
Milano, che dalla multinazionale belga riceve 800.000 euro in contratti di ricerca, dal legame strategico che
dà anche la possibilità a entrambi di partecipare in maniera congiunta a bandi nazionali e internazionali di
sostegno finanziario a progetti comuni, quanto meno il sospetto di “bufala” avanza se si considera che si
tratta di un test di laboratorio da sperimentare direttamente sul campo tramite reattori grandi e grossi da
piazzare sui pozzi contaminati.

La chimera Solvay: lo zero tecnico nell’abbattimento dei Pfas.
La propaganda di Bruxelles dichiara che a Spinetta Marengo la Solvay è in grado di raggiungere il cosiddetto
“zero tecnico” nell’abbattimento dei fluorotensioattivi PFAS. Affermazione quanto mai falsa perché
l’inquinamento più pericoloso dei Pfas proviene dalle emissioni dei camini in un cocktail di tossicocancerogeni
che dall’atmosfera ricade sui polmoni, e con la pioggia sui campi e nei corsi d’acqua. Ma anche limitandoci
alle emissioni di C6O4 e ADV dagli scarichi idrici, lo “zero tecnico” è una chimera.
Lo ha annunciato in Italia la presidente Ilham Kadri in persona, dopo che la multinazionale belga è stata
costretta negli Stati Uniti ad abbandonare i Pfas. Negli scarichi di acqua applicherebbe tecnologie di osmosi
inversa RO (metodo di filtrazione meccanica in uso dagli anni ’50 del secolo scorso) e tecnologie al carbone
attivo granulare (GAC), allo scambio ionico (IO): diventerebbe “acqua distillata” e addirittura riutilizzata e non
scaricata in Bormida, insomma “ciclo chiuso”. Premio nobel per la chimica alle giovanissime ricercatrici
(Cristiana Zanirato, Serena Grispo, Luisa Baila)? insegniamo agli americani? Tutto risolto? Niente affatto.
Innanzitutto, non c’è la ben che minima garanzia teorica che rimuovano il 100% dei PFAS contaminanti.
Inoltre, prevedono costi insopportabili data l’ampiezza del territorio inquinato e inquinante, si pensi solo alla
vastità di frequenti cambi di membrane filtranti e carboni esausti. A tacere dello smaltimento a loro volta dei
solidi e dei liquidi di questi trattamenti, cioè incenerimento. I Pfas fanno parte del cocktail di tossici
cancerogeni presenti a Spinetta in atmosfera e nelle falde, filtri e carboni inceneriti manderebbero altri Pfas
in atmosfera e falde. Inoltre -attenzione- i Pfas sono utilizzati per produrre tantissimi materiali (padelle,
imballaggi, vestiti): come verrebbero bonificati?
“Osmosi” è la parola magica usata dall’antichità per affermare che ovunque ci sia una barriera è possibile,
una spinta, una osmosi, uno scambio, perché nessuna barriera è totalmente invalicabile: fra città e campagna,
fra diverse nazioni e civiltà, fra l’interno e l’esterno della cellula. In chimica si parla di “Osmosi inversa”,
metodo di separazione di un soluto e un solvente basato sull'applicazione a una membrana semipermeabile
di una pressione esterna tale da invertire il flusso osmotico, per cui il solvente fluisce dalla soluzione più
concentrata verso quella meno concentrata. Per quanto riguarda i Pfas, l’osmosi inversa è sperimentata su
mezzi domestici che si basano su un prefiltro meccanico che si trova all’interno del rubinetto. Oltre a questo,
ci sono altri due filtri con i carboni attivi che hanno il compito di eliminare batteri, virus e cloro. L’acqua viene
spinta poi verso una membrana che agisce da filtro e che elimina: batteri, piombo, arsenico e metalli pesanti.
Infine, si passa per un ultimo filtro ai carboni attivi che va a bloccare i Pfas. Una parte dell’acqua che entra nel
rubinetto viene utilizzata per pulire la membrana e viene scartata, quindi non passa dal rubinetto della cucina.
Così, attraverso una tanica, l’acqua pulita arriva in casa in presunta sicurezza. Questa soluzione, dei depuratori
domestici ad osmosi inversa da adottare in tutte le case alessandrine, è perfino meno fantasiosa
dell’ircocervo prospettato da Solvay! Che userebbe 250 membrane solo per trattare 40 metri cubi all’ora di
acque reflue. Nonché oltre 500 tonnellate di carboni per trattare in 40 colonne di filtrazione solo 3.700 metri
cubi all’ora di acque. A prescindere sempre da ciò che è già in falde e fiumi. A tacere sempre dei reflui in
atmosfera.
Insomma, inutile girarsi intorno. Stanti ad Alessandria i disastri ambientale (in acqua e atmosfera) e sanitario
(nel sangue), non c’è altra alternativa etica che chiudere le produzioni. Come imporrebbe il Disegno di legge
del senatore Crucioli, o anche subito tramite il provvedimento della magistratura. Ma Solvay scrolla le
spalle, e addita la luna all’opinione pubblica: non in forza di una legge bensì “Volontariamente, Solvay entro
il 2026 realizzerà quasi il 100% dei suoi fluoropolimeri senza l’uso di fluorotensioattivi, per eliminare
pressoché totalmente le emissioni di fluorotensioattivi”. Quasi e pressoché sono tradotti: “Una piccola linea
di prodotti, strategica per i settori industriali dei semiconduttori e dell’energia che rappresenta meno dell’1%
del volume produttivo, richiederà ulteriori attività di ricerca per eliminare completamente l’uso dei
fluorotensioattivi. Per questa linea verrà utilizzato un processo di produzione a ciclo chiuso, strettamente
controllato, a zero reflui”. Cioè la fantomatica “Osmosi inversa” ecc.
A proposito, perché spendere 40 milioni di euro per questi impianti mirabolanti se dici che i Pfas saranno
fermati entro il 2026? Risposta: serviranno per gli altri inquinanti. Quali altri stai scaricando in acque? e in
aria?
Dunque, NON c’è impegno a fermare gli impianti entro il 2026. Infine, dei “sostituti dei Pfas”, presunti (quasi
e pressoché?) a impatto zero, non si fa menzione, altri segreti industriali, non autorizzati da nessuno, tutti da
verificare se si sta cadendo dalla padella alla brace. Verifica rinviata a dopo il promesso senza impegno 2026,
nel mentre gli impianti con Pfas starebbero marciando e inquinando a pieno volume. Però, promette Solvay,
io vi farò la bonifica del disastro regresso, sennò ve lo lascio e scappo in Belgio. Invece, cara Ilham Kadri,
comincia a smettere di inquinare a Spinetta e adattati ad usare i soldi per la bonifica prelevandoli dagli altri
profitti che stai i facendo in Italia con gli altri siti industriali e con la vendita dei prodotti (sei la multinazionale
e non l’Ecolibarna!).

Solvay da una bufala all’altra
La più grossa delle “bufale Pfas” propinate a giornali e istituzioni dalla multinazionale Solvay è l’inverosimile
innocuità sanitaria di C6O4 e ADV prodotti a Spinetta Marengo. Poi immediatamente contraddetta dall’altra
truffa mediatica: quella dei presunti filtri che sarebbero in grado di rilevare e trattare, gestire e monitorare
i contaminanti Pfas nelle falde e nelle reti idriche. La tecnologia di tali trattamenti dell’acqua è limitata al
carbone attivo granulare (GAC), allo scambio ionico (IO) e alle tecnologie di osmosi inversa (RO).
Innanzitutto non c’è la ben che minima garanzia che rimuovano il 100% dei PFAS contaminanti. Inoltre
prevedono costi insopportabili data l’ampiezza del territorio inquinato e inquinante, si pensi solo alla
vastità di frequenti cambi di membrane filtranti. A tacere dello smaltimento a loro volta dei solidi e dei
liquidi di questi trattamenti: incenerimento? Dunque la sola soluzione è: “limiti zero” all’emissione dei
Pfas in aria-acqua-suolo. Che tradotto nella realtà alessandrina, significa: chiusura delle produzioni C6O4
– ADV.
La pervicacia da Bruxelles di Solvay per le sue produzioni è dettata dagli enormi profitti che sarebbero
garantiti dal ruolo di monopolista mondiale dei Pfas, proprio in quanto molti Paesi ne hanno vietato la
produzione e sono alle prese con l’enorme problema di bonificare acque e terreni. Questione che
nondimeno investe drammaticamente Piemonte (Solvay di Spinetta) e Veneto (Miteni di Trissino). Si
valuti che per la bonifica l’amministrazione Biden ha annunciato più di cento miliardi di dollari di
finanziamenti.
Solvay, per ragioni di profitto immediato, chiude gli occhi sulla calamità mondiale dei Pfas, che devono
invece al più presto essere messi al bando come DDT e amianto. Acclamati dal 1940 come prodotti chimici
miracolosi per la loro elevata resistenza al calore e la grande tenuta, i Pfas per quelle stesse proprietà
prodigiose si sono rivelati devastanti per ecosistemi e cancerogeni e mutageni per la salute umana. Si
sono guadagnati il famigerato soprannome di “forever chemicals”: non si decompongono naturalmente
e quindi si accumulano nell’ambiente e nel corpo umano. Oggi li troviamo ovunque, salotto, cucina, bagno
e acqua di rubinetto… Inquinano anche le coscienze di politici e giornalisti.

Il macigno di Solvay e Confindustria su governo e parlamento.
L’Italia si è ancor più accomodata sul rallentatore (supermotion) europeo, tira e molla. Infatti, il Disegno di
Legge “Crucioli” non è stato ripresentato mentre il piano, del decreto legislativo del 23 febbraio scorso sulle
acque destinate al consumo umano, prevederebbe l’insediamento a giugno del Censia (centro nazionale per
la sicurezza delle acque) che recepirebbe e renderebbe disponibili sul territorio le linee guida tecniche sui
metodi analitici per quanto riguarda il monitoraggio dei parametri (Pfas – totale e somma di Pfas) compresi
i limiti di rilevazione, i valori di parametro e la frequenza di campionamento, che la Commissione europea
prevede di stabilire entro il 12 gennaio 2024. Infine, entro il 31 dicembre 2024 il disegno di legge in
discussione in parlamento dovrebbe divenire effettivo.
L’influenza della Confindustria (cioè Solvay) in parlamento è stata decisiva sul decreto scorso e intende ancor
più esserlo per il disegno di legge. Solvay a Spinetta Marengo è determinata a non fermare nell’immediato le
lucrosissime produzioni di PFAS (C6O4) e a non migrare verso sostanze alternative se non in tempi lunghi e
fissati da lei. Nel contempo sa, al di là della propaganda, che i metodi di osmosi inversa e carboni attivi per
bonificare i Pfas sono inefficaci e addirittura pericolosi (Co2) e comunque hanno costi troppo elevati per le
proprie casse. Dunque prende tempo e fa proselitismo istituzionale e mediatico: “Potenziare, con il
coinvolgimento del sistema universitario ed industriale, la ricerca scientifica su tutti gli aspetti del
fenomeno (diffusione di utilizzo, effetti sulla salute, sostanze alternative, etc.); promuovere, stanziando risorse
pubbliche adeguate, la ricerca di molecole in grado di sostituire i Pfas; incentivare, stanziando risorse
pubbliche adeguate, la sperimentazione delle tecnologie che consentiranno di abbattere efficacemente e a
costi sostenibili i Pfas; promuovere, sulla base dei risultati delle sperimentazioni, l’approvazione delle Bat
(migliori tecnologie disponibili) per l’abbattimento dei Pfas e dei limiti di scarico; introdurre limiti allo scarico
dei Pfas esclusivamente a seguito dell’individuazione, nell’ambito della sperimentazione, delle tecnologie e
delle metodologie adottabili ed approvate a livello europeo dalle opportune Bat”.
Come si vede, Solvay a Spinetta Marengo è determinata a non fermare nell’immediato le lucrosissime
produzioni di PFAS (C6O4): “Per i Pfas andiamo verso lo zero tecnico. Il percorso è per la dismissione dei
fluoropolimeri entro ottobre 2026”. “La bonifica è a buon punto”. “Il sistema di tutela ambientale dentro e
fuori lo stabilimento è ok”. “Altre vasche a carboni attivi e osmosi inversa grandi come campi di calcio” ecc.
Per il resto, la strategia futura è altrettanto volutamente confusa: “Impianto prototipi Aquivion con innovativa
tecnologia di produzione di materiali per membrane polimeriche, che si integra in una filiera dell'idrogeno
verde sostenibile, rinnovabile e carbon free, che punta anche allo sviluppo per l'automotive”. “A Bollate nuovo
laboratorio ‘Dry Room’ per batterie al litio, nell’ambito di ricerca, sviluppo e commercializzazione di polimeri
speciali utilizzati nella fabbricazione di batterie al litio, in stretta sinergia operativa con lo stabilimento
produttivo Solvay di Spinetta Marengo”. L’unica cosa concreta sono i finanziamenti pubblici.
La riprova del peso della Solvay sulla politica si è visto nella conferenza alla Camera dei deputati (delle
Associazioni e dei Comitati che hanno presentato il Manifesto europeo per l’urgente messa al bando dei Pfas
e chiesto al Parlamento una ancor più urgente legge per la messa al bando dei Pfas in Italia (alla stregua del
Disegno di Legge “Crucioli”). Infatti alla conferenza era completamente assente la maggioranza del
Parlamento, cioè il governo.

Lino Balza Movimento di lotta per la salute Maccacaro.








Nell’ Allegato 3 : Esposti alla Procura.

Affinchè agisca per competenza, trasmettiamo alla Procura della Repubblica di Alessandria, Michele Di Lecce,
le seguenti contestazioni che abbiamo rivolto a:
A) ARPA Piemonte, direttore Enrico Garrou (che sui giornali ha sostenuto non esserci problemi sui PFAS
Solvay)
B) Presidente della Solvay Solexis

A)

1) E' vero o non è vero che negli Stati Uniti l'EPA (Environmental Protection Agency) ha ufficialmente
chiesto ai colossi 3M, Du Pont, Arkema, Asahi, Ciba, Clariant, Daikin, Solvay Solexis di sospendere
progressivamente la produzione e l'utilizzo del PFOA (acido perfluoroctanico) e di eliminarlo entro il 2015?
Prescrizione che la Du Pont ha notevolmente anticipato. Secondo quanto accertato dalle autorità ambientali
americane, questo prodotto usato anche da Solvay a Spinetta Marengo per la realizzazione del teflon e
utilizzato in molti settori, lascia tracce nel sangue umano. Per inalazione e ingestione. Le ricerche della 3M
avevano evidenziato che l'esposizione continuata a questa sostanza tossica e cancerogena può provocare
danni al sistema riproduttivo e al fegato dei topi utilizzati come cavie. L'EPA ha trovato questi residui anche
nelle persone, e non solamente nelle cavie di laboratorio. Secondo uno studio divulgato da WWF e da
Greenpeace, il PFOA è stato individuato nei cordoni ombelicali e nel sangue delle donne incinte. Il teflon,
prodotto tramite il pfoa a Spinetta Marengo dalla Solvay, viene ad esempio utilizzato nelle pellicole delle
padelle antiaderenti. Second Du Pont ovviamente le pentole e i prodotti in generale fatti con i propri materiali
(tessuti da abbigliamento e arredamento, componenti di farmaci, schiume antincendio, lubrificanti, adesivi,
cosmetici, insetticidi, rivestimenti per tappeti e mobilio) sono sicuri e, casualmente, non sarebbero stati
accertati danni per l'uomo. Peccato che l'Epa ha diffuso il parere del suo Comitato scientifico consultivo, che
sta conducendo una revisione sulla sicurezza del Teflon, che ha concluso che esso è probabilmente
cancerogeno anche per gli esseri umani. Peccato che sempre la Du Pont abbia sborsato centinaia di milioni
di dollari per patteggiare delle controversie legali sorte a causa dei residui del PFOA ritrovati nelle faglie
acquifere e per aver taciuto informazioni importanti. Nel 2005 la Du Pont ha sborsato oltre 85 milioni di dollari
agli abitanti della West Virginia e dell'Ohio che le avevano intentato causa dopo aver trovato residui di PFOA
nell'impianto idrico dal quale si attingevano acqua potabile, in modo da chiudere la controversia legale. Alla
fine del 2005 sempre la Du Pont ha patteggiato una causa intentatagli dall'EPA per aver taciuto informazioni
importanti sui rischi provocati dal PFOA e sui residui dell'acido ritrovato nelle faglie acquifere; costo del
patteggiamento: 16,5 milioni di dollari. In Italia, l'associazione dei consumatori Codacons ha chiesto al
ministro della Salute di intervenire per tutelare la salute dei cittadini, procedendo al sequestro di 150 milioni
di pentole di Teflon.
2) E' vero o non è vero che nell'ambito del progetto europeo denominato «Perforce 2006» è stata condotta
da Irsa Istituto di ricerca sulle acque una campagna di misura di perfluoroderivati nelle acque e sedimenti di
alcuni fiumi europei? Da tale studio CNR è emerso che la concentrazione più elevata di tali composti tra i
maggiori fiumi europei è stata riscontrata nel fiume Po, alla chiusura di bacino a Pontelagoscuro (FE) (200
ng/l). Successivamente il Joint Research Centre, di Ispra (VA) ha verificato i livelli di Pfas nel Po e dei sui
principali affluenti; tutti gli affluenti hanno mostrato valori di Pfoa compatibili con una contaminazione diffusa
(1-20 ng/l) ad eccezione del fiume Tanaro (1270 ng/l). Nel 2008 lo stesso, ha condotto una campagna di
verifica ed approfondimento specificamente dedicata alle zone che presentavano livelli di Pfas maggiori. In
particolare
sono
state
analizzate
le
acque
del
fiume
Bormida,
dove
scarica
la Solvay, nelle quali sono stati rilevati picchi di concentrazione fino 1.500 ng/l. La sostanza riscontrata in
maggiori concentrazioni è il Pfoa. Il quale, attenzione, è già presente nelle falde acquifere! Perché fino ad
allora l'ARPA non aveva fatto queste analisi sugli scarichi Solvay, non potendo non sapere il dibattito scientifico
in corso da anni?
3) E' vero o non è vero che l'Istituto di ricerca sulle acque, Irsa, ha valutato l'inidoneità dell'uso dell'acqua
di questi fiumi come fonte di approvvigionamento idropotabile? Che per quanto riguarda il rischio di consumo
di prodotti ittici, a causa della bioaccumulabilità di tali composti, sarebbe necessario svolgere indagini
appropriate per valutare le concentrazioni di Pfoa nelle specie mangerecce del Po perché il rischio per la
salute umana, come riporta il parere dell'Iss, Istituto superiore della sanità, non può assolutamente essere
escluso? Soprattutto nel caso di friggitura.
4) E' vero o non è vero che non solo i lavoratori anche gli abitanti della Fraschetta sono esposti ai danni
del PFOA? Infatti, presso la Fondazione Maugeri di Pavia (professor Minoia, dottoressa Sottani) risultano
allarmanti referti di esami ematici per il PFOA addirittura per una dipendente non esposta a lavorazioni che
prevedono l'utilizzo della sostanza.
5) E' vero o non è vero che il Ministero dell'ambiente (sottosegretario Roberto Meina) in Parlamento ha
sottoscritto che tali sostanze, per la loro pericolosità, sono oggetto di misure a livello europeo per una
progressiva riduzione e ritiro dal mercato? Già ora esse, pur nella disattenzione italiana della direttiva acque
2000/60/CE, poiché possono causare effetti endocrini, rientrano nelle famiglie incluse nell' allegato 8 del
decreto legislativo n. 152 del 2006 e di conseguenza devono essere incluse nei piani di monitoraggio. Si
lamentano così l'assenza di monitoraggi e piani di tutela secondo i criteri legislativi, nonché l'inerzia delle
amministrazioni locali, e si reclama la necessità di maggiore ricerca scientifica e di interventi.

6) Se tutto ciò e vero, come è vero, come può l'Arpa affermare che non è preoccupata? Come dire: lavorate,
bevete e mangiate tranquillamente? Oppure: il PFOA che avete nel sangue fa bene all'organismo? Si ritiene
l'Arpa più competente e autorevole dell'EPA? Non dovrebbe invece l'ARPA chiedere alle autorità
amministrative e giudiziarie, non dico di vietare gli scarichi e le produzioni, come sembra preannunciare il
sottosegretario, ma chiedere almeno di vietare da subito la pesca in Tanaro e Bormida, oltre che
l'approvvigionamento per uso potabile?
B)

1) E' vero o non è vero che l'azienda è sempre stata consapevole dei rischi delle sostanze, al punto da
sottoporre tutti gli anni i dipendenti ad analisi ematiche atte a quantificare il PFOA presente nel sangue
(Medizinisches Labor Bremen, Fondazione Maugeri)? In merito può riferire il dottor Casalino del servizio
sanitario dello stabilimento.
2) E' vero o non è vero che la Solvay solo da Dyneon e Miteni è fornita con 8 tonnellate all'anno di PFOA in
soluzione 20%? Quante tonnellate sono immesse in atmosfera, ad esempio dal camino dell'impianto di
Polimerizzazione? Perché in azienda non esiste un sistema di monitoraggio ambientale del PFOA a differenza
di altre sostanze considerate pericolose? Quanto può essere “accidentalmente” versato in fogna civile? Nei
laboratori i campioni della sostanza vengono abitualmente versati nei lavandini allacciati alla rete civile?

3) E' vero o non è vero che la Solvay è stata accusata negli esposti alla Procura di Alessandria di precisi
attentati all'ambiente e alla salute? E che alcuni dipendenti sono stati licenziati dopo le loro denunce?

4) Come intende sostituire le sostanze contestate, di cui lo stesso Ministero dell'ambiente prevede la
riduzione e la scomparsa, ovvero eliminarle dagli scarichi nei fiumi? Considerando che il reparto
Polimerizzazione Algoflon usa il tensioattivo PFOA acido perfluoroottanoico tramite la polimerizzazione in
emulsione del fluoropolimero tetrafluoroetilene monomero TFEM per produrre il PTFE (nelle denominazioni
commerciali: Teflon, Fluon, Algoflon, Hostaflon), e che i reparti Algoflon 2, DF, D60, Ricerca si occupano del
post-trattamento del PTEF.
5) Come intende affrontare queste problematiche, per i risvolti produttivi e occupazionali, con i Sindacati?
Considerato che il PFOA non è un additivo qualunque, come affermato dal responsabile comunicazione
aziendale Fabio Lovelli, bensì è fondamentale per la quasi totalità del ciclo produttivo dello stabilimento.
Considerato altresì che non è in atto nessuna bonifica a monte dell'immenso inquinamento di cromo
esavalente cancerogeno della Solvay, come dovrebbero sapere Nicola De Ruggero e Lino Rava,
rispettivamente assessori all'Ambiente di Regione e Provincia.