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Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza
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1 Sommario "Argentina: appoggio urgente a donne Mapuche detenute", 11/04/2023, - Redaz. di "Convergencias de las Culturas" https://www.pressenza.com/it/2023/04/argentina- appoggio-urgente-a-donne-mapuche-detenute/ “Si avvicina la seconda edizione di Eirenefest, Festival del Libro per la Pace e la Nonviolenza", 11/04/2023, - Redaz. Italia di "Pressenza" https://www.pressenza.com/it/2023/04/si-avvicina- la-seconda-edizione-di-eirenefest-festival-del-libro- per-la-pace-e-la-nonviolenza/ "C’era una volta in Italia… la sanità pubblica", 11/04/2023, - Redaz. del sito internet "Leggi la notizia" https://www.leggilanotizia.it/2023/04/11/cera-una- volta-in-italia-la-sanita-pubblica/ "Diritto all’acqua e ruolo dei popoli indigeni: i grandi assenti alla Conferenza Onu", 12/04/2023, - Cristina Borio https://altreconomia.it/diritto-allacqua-e-ruolo-dei- popoli-indigeni-i-grandi-assenti-alla-conferenza-onu/ “Pacifismo: le tre proposte del Movimento europeo di azione nonviolenta", 7/04/2023, - Redaz. del sito internet Vita.it https://www.vita.it/it/article/2023/04/07/pacifismo- le-tre-proposte-del-movimento-europeo-di-azione- nonviolenta/166365/ "Evasione fiscale, Meloni sembra puntare più su una rivoluzione morale che sulla tecnologia", 10/02/2023, - Mario Pomini https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/02/10/evasio ne-fiscale-meloni-sembra-puntare-piu-su-una- rivoluzione-morale-che-sulla-tecnologia/7039700/ "Migranti, le Ong chiedono di poter issare la bandiera dell’Onu sulle loro navi", 21/03/2023 - Michele Raviart https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2023- 03/migranti-bandiera-onu-petizione-cecilia-strada- resq.html "Migranti, il pericoloso rilancio dei Centri per il rimpatrio. Il Garante dei detenuti: «Inefficaci e inumani: l’uso di psicofarmaci è inquietante»", 10/04/2023, - Franz Baraggino https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/04/10/migran ti-il-pericoloso-rilancio-dei-centri-per-il-rimpatrio-il- garante-dei-detenuti-inefficaci-e-inumani-luso-di- psicofarmaci-e-inquietante/7123904/ “Se vuoi la pace, non vai a parlare ai tuoi amici, ma ai tuoi nemici” – Desmond Tutu “Il cordoglio di Rete Pace Disarmo per la scomparsa di Vittorio Bellavite”, 12/04/2023, _ Coord. Campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo https://retepacedisarmo.org/2023/il-cordoglio-di- rete-pace-disarmo-per-la-scomparsa-di-vittorio- bellavite/ “Intervista al presidente del Comit. «Generazioni Future»: «Temi fondamentali, possiamo farcela»”, 13/04/2023, - Paolo Viana. Fonte: sito internet del quotidiano “Avvenire” “Pace e sanità beni comuni. Dovere di disarmo e diritto alla salute. Al via la campagna per tre referendum”, 13/04/2023, - Paolo Viana. Fonte: sito internet del quotidiano “Avvenire” 2 "Argentina: appoggio urgente a donne Mapuche detenute", 11/04/2023, - Redaz. di "Convergencias de las Culturas" “2023, Argentina. Nel Paese del premiato film “1985”, i diritti umani continuano a essere violati. Quattro donne Mapuche sono imprigionate da più di sei mesi insieme ai loro figli, accusate di un reato che la legge non punisce con la reclusione. Sono vittime del razzismo, dei settori che bramano i loro territori e di uno Stato complice che, nello spirito dell’anno elettorale, ha sospeso senza giustificazione il tavolo di dialogo previsto per risolvere il conflitto. Tra le tante espressioni di sostegno, Convergenza delle Culture e Pressenza stanno promuovendo la rivendicazione e la denuncia di questi eventi all’estero, invitando le persone e le organizzazioni solidali a scrivere alle ambasciate argentine e ai media dei loro Paesi. Rume mañun (grazie mille). Il 4 ottobre 2022, nei pressi di Bariloche, in Argentina, la comunità Mapuche Lafken Winkul Mapu è stata violentemente sgomberata dal proprio territorio. Un comando unificato di 250 truppe di varie forze di sicurezza è avanzato via terra e via aria verso la comunità di appena 30 persone, compresi i bambini. Le loro case di legno sono state completamente distrutte e 7 donne sono state arrestate e tenute in isolamento, senza poter comunicare con le loro famiglie o con i loro avvocati. Una di loro, che era molto avanti con la gravidanza, ha finito per partorire in ospedale, sotto custodia. Altre quattro sono state condotte in una prigione a 1500 km di distanza, ammanettate, incatenate e senza sapere dove le stessero portando. La pressione di altre comunità e di organizzazioni per i diritti umani ha costretto il governo a riportarle a Bariloche. Oggi, a distanza di 6 mesi, 4 di queste 7 donne restano agli arresti domiciliari con i loro figli, tra cui 3 neonati di 5, 6 e 9 mesi. Gli altri bambini hanno tra i 4 e i 9 anni, più una ragazza di 16. Tutte vivono stipate in uno spazio concesso in solidarietà, ma con comfort insufficienti, un solo spazio comune come stanza e niente acqua calda. Una delle donne detenute è la giovane machi Betiana Coluan Nawel, la prima machi dopo più di 100 anni nel territorio che oggi viene chiamato Argentina. Nella cultura Mapuche la machi è la massima autorità spirituale, guaritrice e protettrice di persone e territori. La sua funzione è intimamente legata al territorio in cui vive e dove crea il suo rewe, il suo spazio cerimoniale. Il rewe si trova nella comunità sfrattata, motivo per cui l’azione dello Stato viola non solo la legislazione vigente, ma anche il diritto consacrato del popolo Mapuche di vivere e crescere nella propria cultura e secondo la propria visione del mondo. ALCUNI FATTI DA CONOSCERE • Il popolo Mapuche sta sviluppando un processo molto vigoroso di affermazione e recupero della propria identità e in questo processo la relazione con il territorio è fondamentale. È una parte essenziale della sua visione del mondo e del suo modo di vivere. Non è una “risorsa immobiliare da sfruttare”, come lo considera la cultura dominante, ma l’ambiente essenziale per vivere e svilupparsi, un valore che come popolo indigeno protegge e difende. • La Costituzione argentina riconosce ai popoli indigeni il diritto al possesso e alla proprietà delle terre che tradizionalmente occupano. Tuttavia, questo diritto non viene rispettato e molte comunità sono state espulse dai loro territori mentre lo Stato stesso li converte in Parchi Nazionali o li vende a privati e ad aziende dedite all’estrattivismo, al disboscamento, alla monocoltura, allo sviluppo immobiliare e al turismo. Si tratta di una pratica naturalizzata, con i politici del momento che concedono i beni comuni al miglior offerente. Si tratta di una pratica che finisce per mostrare il volto razzista della persecuzione contro i popoli indigeni. I mass media tradizionali, al servizio di questi interessi, sono responsabili della diffusione di informazioni false che “giustificano” la persecuzione e mettono le popolazioni contro le comunità. • Alcune comunità rivendicano i propri diritti per via legale. Altre avviano processi diretti di recupero, insediandosi nei territori che gli appartengono e che vengono loro negati. È il caso della Lof Lafken Winkul Mapu, insediata su un territorio ceduto a uno di questi Parchi Nazionali. 3 • A differenza dei grandi proprietari terrieri, la comunità di cui stiamo parlando rivendica una superficie di appena 10 ettari. • Queste lamuen (sorelle) sono in carcere per “usurpazione”, un reato che secondo la legge argentina non è punibile con la prigione. Sono in carcere perché sono Mapuche, perché sono vittime di razzismo e perché rivendicano un territorio che altri – senza alcun diritto – vogliono per i loro affari. • Lo Stato e la comunità hanno concordato un Tavolo di Dialogo per risolvere il conflitto. Si sono tenuti tre incontri e sono stati fatti alcuni progressi. Ma il 24 febbraio lo Stato ha sospeso il quarto incontro senza fornire spiegazioni e non ha proposto una nuova data per l’incontro. Di seguito il testo della lettera da inviare all’ambasciatore argentino in Italia: “Stimato Ambasciatore dell’Argentina in Italia Dr. Roberto Manuel Carlés Le chiedo gentilmente di inoltrare questa richiesta al Presidente del Suo Paese, Alberto Fernández. La ringrazio molto per il suo impegno. Signor Presidente Vorrei esprimere la mia profonda indignazione e preoccupazione per la situazione delle 4 donne Mapuche della Lof Lafken Winkul Mapu, che sono agli arresti domiciliari da 6 mesi nella città di Bariloche, insieme ai loro figli. Poiché il vostro è un Paese noto in tutto il mondo per la sua lotta per i diritti umani, sono particolarmente scioccato/a da questi eventi – La violenza e i mezzi sproporzionati dello sgombero a cui è stata sottoposta la comunità; – Il fatto che queste donne siano detenute per un reato che la legge considera non perseguibile; – Il sovraffollamento del luogo di detenzione con undici minori, con la conseguente violazione dei diritti dei bambini e degli adolescenti – Che tra i detenuti ci sia anche la machi Betiana Coluan Nawel, la massima autorità spirituale del suo popolo; - Che il loro rewe (spazio cerimoniale) non sia stato rispettato e che oggi venga loro negato il diritto di tornarvi, in violazione della loro cosmovisione e cultura; – che il Suo governo abbia sospeso il tavolo di dialogo che si stava tenendo per superare il conflitto – che tutto ciò stia avvenendo nonostante gli impegni presi dal vostro Paese nei confronti dei popoli indigeni, delle donne, dei bambini e dei diritti della natura. Per tutte queste ragioni e con il dovuto rispetto, chiedo: – L’immediata liberazione di Betiana Colhuan Nawel, Romina Rosas, Luciana Jaramillo, Celeste Ardaiz Huenumil e dei loro figli; – L’immediata ripresa dei colloqui di dialogo sospesi senza alcuna giustificazione dal Suo governo il 24 febbraio. – Il ritorno della machi al suo rewe e il riconoscimento del carattere sacro di questo spazio cerimoniale. Tramite lei estendo questa richiesta al Segretario dei Diritti Umani, al Segretario Nazionale per l’Infanzia, l’Adolescenza e la Famiglia, ai Ministeri della Giustizia, dell’Ambiente e dello Sviluppo Sostenibile, delle Donne, del Genere e della Diversità, all’ente Parchi Nazionali e all’INAI. Mi auguro che al più presto possiate rispondere positivamente a queste richieste, condivise con me da molte altre persone attente a questa situazione. Grazie mille per l’attenzione. Cordiali saluti Nome, cognome, città E-mail “ E-mail dell’ambasciata argentina a Roma: eital@cancilleria.gob.ar “Si avvicina la seconda edizione di Eirenefest, Festival del Libro per la Pace e la Nonviolenza", 11/04/2023, - Redaz. Italia di "Pressenza" 4 “EireneFest, il Festival del Libro per la Pace e la Nonviolenza, si svolgerà il 26, 27 e 28 maggio 2023, in diversi spazi del quartiere di San Lorenzo, a Roma. Giunto quest’anno alla sua seconda edizione, EireneFest rappresenta il primo festival del libro, in Italia, interamente dedicato alla promozione della cultura della pace e della nonviolenza e costituisce un’opportunità preziosa, unica nel suo genere nel nostro Paese, per associazioni, istituzioni culturali, case editrici, per fare conoscere le proprie iniziative e novità editoriali e per condividere un luogo di scambio e di riflessione sulle tematiche della pace e della nonviolenza, dei diritti umani, della non- discriminazione, della cura del Pianeta. EireneFest è un luogo aperto e plurale, in cui si alternano presentazioni di libri e proiezioni di film e documentari, dialoghi tra autori e autrici, conferenze e laboratori per adulti e bambini, nel corso dei quali approfondire le grandi questioni che fanno da filo conduttore della rassegna, quest’anno organizzata intorno a quattro assi tematici: riconciliazione personale e sociale; libertà e diritti; conflitto e conflitti; conoscenza e futura umanità. Sostenuto, nella sua edizione 2023, con i fondi Otto per Mille della Chiesa Valdese, EireneFest è realizzato su base interamente volontaria e tutte le sue attività sono a ingresso libero e gratuito. Sono sette gli spazi che ospiteranno gli oltre settanta eventi della rassegna di quest’anno: i Giardini del Verano, la Biblioteca Tullio de Mauro, la Casa Umanista, l’Associazione ENGIM, l’Associazione AMKA, la Galleria delle Arti, e la Libreria Antigone. In un’epoca di conflitti, c’è sempre più bisogno dei libri per la pace e la nonviolenza che ci consiglino, che ci guidino, che ci ispirino verso un mondo con al centro l’essere umano, le sue idee, i suoi sentimenti, le sue azioni.” Tutte le info al sito ufficiale di EireneFest: https://www.eirenefest.it dove è possibile iscriversi gratuitamente e partecipare. Sui social media: L’elenco dei media partner è qui: https://www.eirenefest.it/media-partner/ Facebook: https://www.fFacebook.com/EireneFest Instagram: https://www.instagram.com/eirenefest "C’era una volta in Italia… la sanità pubblica", 11/04/2023, - Redaz. del sito internet "Leggi la notizia" “C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando” è il titolo di un docufilm che entra nei meandri della sanità pubblica e ci fa capire i meccanismi che ne stanno decretando lo smantellamento. L’appuntamento è per martedì 18 aprile, ore 21, nella sala Bcc – Cinema Centrale di Imola (ingresso 5 euro).” “Noi Imola – sottolinea Valter Galavotti a nome dell’associazione – è diventata una voce importante nel dibattito del nostro territorio su questi temi e vogliamo dar voce ai cittadini in un momento davvero difficile e decisivo per la sanità pubblica. Così abbiamo deciso di proporre questo film che sta riscuotendo un grandissimo successo e riesce ovunque sia presentato a mobilitare operatori della sanità, comitati di cittadini, associazioni, istituzioni sanitarie e politiche, stimolando un dibattito quanto mai urgente e necessario”. Il film Cariati, uno sperduto paesino della Calabria affacciato sullo Jonio. La sanità pubblica è ridotta al lumicino da decenni di tagli al bilancio e privatizzazioni. Con il Piano di rientro è stato chiuso anche l’ultimo ospedale della zona: uno dei 18 ospedali, quasi sempre in zona disagiata, cancellati nel giro di una notte in tutta la Calabria. Un manipolo di ribelli di ogni età decide di protestare come nessuno ha mai osato fare, occupando l’ospedale con l’obiettivo di ottenerne la riapertura. Nel frattempo alcuni dei più importanti intellettuali, medici, esperti e attivisti italiani e internazionali si mobilitano e sostengono la lotta di Cariati. Questo docufilm di 102 minuti, “C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando “non a caso, ovunque venga proiettato, anima sempre vivacissimi dibattiti e riempie le sale cinematografiche. I due giovani autori 5 (Federico Greco e Mirko Melchiorre) fanno assurgere questo piccolo paese della Calabria a simbolo universale della lotta per il mantenimento della sanità pubblica e attraverso interviste a scienziati, medici, economisti, artisti – tra gli altri Gino Strada, Roger Waters, Jean Ziegler, Ken Loach, Michael Marmot, Ivan Cavicchi, Warren Mosler…- denunciano la sistematica demolizione del sistema sanitario in Italia e nel mondo avvenuta negli ultimi anni e ci aiutano a comprendere le vere responsabilità locali e globali dell’attacco alla salute pubblica. Finalmente, dopo una lotta durata più di due anni, oggi s’intravedono i primi tangibili risultati di questa grande mobilitazione civile. L’ospedale e il pronto soccorso di Cariati stanno riaprendo e nel laboratorio di cardiologia e nel reparto di radiologia sono arrivati gli ecografi mentre sono stati avviati i lavori propedeutici all’installazione della tac. Il perché della situazione odierna Il film parte da Cariati ma non si ferma a Cariati. Come mai dal servizio sanitario nazionale universale, equo ed accessibile a tutti, introdotto con la riforma del 1978 del Ministro della salute Tina Anselmi, siamo arrivati alle enormi difficoltà, ai disservizi ed alle iniquità della sanità di oggi? Chi e come ha trasformato la sanità italiana in un’industria che produce altissimi profitti per alcuni ma trascura i fragili, gli anziani, le persone con disabilità ed offre servizi di qualità, efficienti e senza tempi d’attesa solo per i ricchi? E ancora, se l’Italia avesse avuto ancora aperti e funzionanti i 200 ospedali che sono stati chiusi nel decennio 2010/2020, avremmo saputo rispondere in modo più efficace alla pandemia? Il docufilm “C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando” cerca di dare una risposta a questi interrogativi non solo avvalendosi del prezioso contributo di personaggi noti e importanti, ma anche coinvolgendo altri importanti intellettuali, medici, studiosi ed esperti di sanità pubblica italiani e internazionali che approfondiscono le cause “prime” di ciò che abbiamo vissuto negli ultimi anni. L’associazione Noi Imola “Noi Imola” è un’associazione no profit che da alcuni anni si occupa dei problemi della sanità e, attraverso varie iniziative, interventi sulla stampa locale, incontri pubblici, partecipazione con propri rappresentanti ai Comitati consultivi misti (Ccm), cerca di sensibilizzare la cittadinanza ai problemi della sanità territoriale e migliorare la qualità dei servizi. “In un primo momento avevamo pensato di far seguire al film un dibattito pubblico, poi, considerata la durata del film, abbiamo ritenuto più opportuno rinviare un confronto pubblico sull’attuale situazione della sanità pubblica sia a livello nazionale che territoriale ad un incontro più strutturato che stiamo organizzando per il mese di maggio al centro sociale “La Stalla “che vedrà la partecipazione di relatori molto qualificati. In quella occasione sarà possibile affrontare il tema in maniera più dettagliata nei suoi vari aspetti (definanziamento, carenze di personale, liste d’attesa, chiusure di piccoli ospedali e servizi di pronto soccorso, privatizzazione e esternalizzazioni incombenti, medici a gettone, ecc.) con particolare riferimento alla nostra regione che, pur essendo tram quelle in cui la popolazione ha le maggiori opportunità di tutela della propria salute, certamente non è rimasta immune da questi fenomeni”, conclude Galavotti. Scheda del film “C’era una volta. Aspettando Giacarta” Regia: Federico Greco e Mirko Melchiorre Prodotto da Alessandro Pezza, Marco Tempera Distribuzione: Fil Rouge Media Colonna sonora originale di Pino, Flavio e Livia Cangialosi Narrato da Peppino Mazzotta con la canzone Money per concessione di Roger Waters e Musica Leggerissima eseguita da Colapesce e Dimartino. Con le testimonianze di Roger Waters, Jean Ziegler, Ken Loach, Gino Strada, Michael Marmot, Vittorio Agnoletto, Adriano Cattaneo, Ivan Cavicchi, Nicoletta Dentico, Santo Gioffrè, Gavino Maciocco, Warren Mosler, Carlo Palermo, Maria Elisa Sartor, Randall Wray e Michele Caligiuri, Cataldo Curia, Mimmo Formaro, Ninì Formaro, Mimmo Massaro, Cataldo Perri. Oltre a Gino Strada, Roger Waters e Ken Loach che non hanno bisogno di presentazioni, alcune brevi informazioni sugli altri protagonisti. 6 Jean Ziegler (Thun, 19 aprile 1934) è un sociologo svizzero, autore di numerosi saggi sui temi della povertà e sugli abusi e le storture dei sistemi finanziari internazionali. Michael Marmot è professore di epidemiologia e sanità pubblica presso l’University College di Londra. ha svolto imporranti ricerche sulle disuguaglianze sanitarie i, lavorando per vari organismi internazionali e governativi. Vittorio Agnoletto, insegna presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Milano ed è uno dei volti noti del movimento no-global, il movimento contro la globalizzazione liberista. Adriano Cattaneo, epidemiologo presso il programma di controllo delle infezioni respiratorie acute dell’OMS, con responsabilità di programmazione e valutazione. Ivan Cavicchi, insegna Sociologia delle organizzazioni sanitarie e Filosofia della medicina all’università Tor Vergata di Roma, ed è uno dei massimi esperti di sanità pubblica in Italia E’ stato responsabile della sanità della Cgil nazionale. Maria Elisa Sartor, si occupa di economia dei sistemi sanitari, è docente di questa disciplina a Milano e ha prodotto una analisi approfondita e documentata dei processi di privatizzazione della sanità Nicoletta Dentico, è una giornalista esperta di cooperazione internazionale e diritti umani. Gavino Macciocco, docente di Igiene e sanità pubblica presso l’Università di Firenze, è promotore e coordinatore del sito web Saluteinternazionale.info e direttore della rivista quadrimestrale Salute e Sviluppo (dell’ong Medici con l’Africa, Cuamm). Warren Bruce Mosler, è un importante economista statunitense, considerato il padre ideatore della formulazione più recente della Teoria della Moneta Moderna di ispirazione post-keynesiana consulente di vari governi.” "Diritto all’acqua e ruolo dei popoli indigeni: i grandi assenti alla Conferenza Onu", 12/04/2023, - Cristina Borio “Nelle conclusioni del grande appuntamento organizzato dalle Nazioni Unite a fine marzo hanno trovato ampio spazio le questioni economiche e di sfruttamento delle risorse idriche. I movimenti sociali sono rimasti invece ai margini della discussione. Un errore, come ci spiega il Relatore speciale per il diritto all’acqua Pedro Arrojo-Agudo.” “Il diritto umano all’acqua non ha trovato spazio nelle conclusioni ufficiali della Conferenza della Nazioni Unite sull’acqua di fine marzo 2023, il cui focus si è concentrato invece su tematiche finanziarie e vie tecnologiche relative alla gestione delle risorse idriche. Una concezione che tratta l’acqua più come una merce che come un diritto. Mentre i movimenti sociali, che non hanno potuto partecipare alle plenarie della Conferenza, riservate solo ai governi, hanno però fatto sentire la propria voce per chiedere uguaglianza di diritti nell’accesso alle risorse idriche attraverso due documenti redatti negli eventi collaterali. La Conferenza come detto si è svolta a New York dal 22 al 24 marzo 2023 ed è stata definita dalle Nazioni Unite “l’evento sull’acqua più importante di una generazione” dal momento che è caduta a metà del Decennio internazionale per l’azione “Acqua per lo sviluppo sostenibile”, dichiarato dall’Assemblea generale dell’Onu in occasione della Giornata mondiale del 22 marzo 2018. Altreconomia ha intervistato Pedro Arrojo-Agudo, professore emerito di Analisi economica all’Università di Saragozza, in Spagna, vincitore del Goldman environmental prize nel 2003 e attuale Relatore speciale dell’Onu per il diritto umano all’acqua, proprio per fare un bilancio della tre giorni di New York. Professor Agudo si ritiene soddisfatto delle conclusioni della Conferenza? PAA Il fatto stesso che si sia svolta è molto positivo: dopo quasi mezzo secolo dalla Conferenza a Mar del 7 Plata, in Argentina, che ha riconosciuto per la prima volta il diritto umano all’acqua, l’Onu è tornata a parlare di questo tema. A maggior ragione alla luce del periodo di crisi idrica globale che stiamo affrontando, con ondate di siccità, fiumi prosciugati ed estati sempre più calde. Tuttavia, nel Social forum “Water for human rights and sustainable development” che si è svolto a Ginevra nel novembre 2022 e che abbiamo promosso come Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, avevamo elaborato due proposte che non sono state però tenute in considerazione nella Conferenza di marzo. La prima era quella di adottare un approccio improntato alla protezione del diritto umano universale di accesso all’acqua e ai servizi igienico-sanitari, la seconda chiedeva di dare spazio nelle discussioni alla partecipazione dei movimenti sociali. Nelle prime bozze del programma della Conferenza di New York non erano stati nemmeno previsti interventi che trattassero dei diritti umani in relazione all’acqua e l’apertura alla partecipazione sociale era assente: temi che sono stati introdotti dopo il Social forum, anche se in posizione secondaria. I rappresentanti della società civile non hanno avuto modo di intervenire nelle sessioni istituzionali e le loro proposte, ad esempio in materia di gestione comunitaria delle risorse idriche, non sono state prese in considerazione nelle conclusioni finali delle plenarie. Il diritto umano all’accesso sicuro all’acqua non è stato citato nemmeno nell’intervento conclusivo del Segretario generale della Conferenza, Csaba Kőrösi. Trovo frustrante che certi temi vengano ancora messi ai margini anche dalle Nazioni Unite. Perché non c’è stata la partecipazione sociale che era necessaria in un evento simile? PAA Un grosso limite è che molti dei leader dei movimenti sociali, tra cui anche i rappresentanti delle popolazioni indigene, non hanno potuto partecipare perché non era possibile intervenire da remoto. L’Onu ha tutti i mezzi per renderlo possibile, perché allora non l’ha fatto? Penso che non sia una questione ideologica ma piuttosto burocratica: le Nazioni Unite danno spazio soprattutto ai governi ma non alla società civile e anche per chi era stato “accettato” agli eventi collaterali non è stato così facile partecipare. Non tutti infatti hanno la possibilità di prendere un volo per New York. L’obiettivo principale di una conferenza di questo tipo, però, deve essere quello di incontrare le persone e sentire che cosa hanno da dire ai governi, non il contrario. Un altro grande errore è stato avere escluso le municipalità e gli operatori pubblici: l’Onu li considera parte delle entità statali, senza tener conto invece che sono i principali responsabili e gestori, in modo autonomo, delle reti e dei servizi idrici. Solo Aqua publica europea, in quanto associazione degli operatori idrici pubblici europei, ha partecipato ad alcuni eventi collaterali al di fuori delle plenarie. Qual è stata l’impronta delle discussioni che si sono tenute nelle plenarie? PAA La Conferenza non si è concentrata sul diritto all’acqua e ai servizi igienico-sanitari perché il focus era trovare delle idee innovative e tecnologiche per risolvere dei problemi delle attività economiche, sia in agricoltura sia nell’industria. Più in generale il dibattito si è concentrato sull’uso dell’acqua per il business, sulle soluzioni e sulle alternative tecnologiche; mentre il tema della governance è rimasto ai margini. A mio avviso è stato un enorme limite. La Conferenza si poneva come obiettivo la redazione della “Water action agenda”, che dovrebbe raccogliere tutti gli impegni da parte dei diversi settori, industrie, parti interessate e nazioni su azioni concrete che aiutino a realizzare il sesto Obiettivo di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030: “Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie”. Come pensa che potrebbe andare la discussione delle proposte presentate? PAA Nel discorso finale della sessione di chiusura, la presidenza dell’Assemblea generale ha accolto sei o sette proposte, sulle centinaia che ha ricevuto, che poi finiranno nella “Water action agenda”. Tuttavia, ancora una volta, la priorità sembra essere quella di trovare nuove opzioni tecnologiche per affrontare i problemi degli usi economici dell’acqua. Possiamo aprire un confronto su come avviare processi più virtuosi in questi ambiti, ma l’attenzione delle Nazioni Unite deve essere innanzitutto rivolta ai due miliardi di persone che non hanno accesso all’acqua potabile, 8 ai quattro miliardi privi di servizi igienici di base a cui deve essere data una risposta. Il sesto obiettivo dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile non riguarda infatti il business delle miniere o quello delle nuove tecnologie ma si concentra sui diritti (negati) di quei miliardi di persone che ho citato. E non c’è stato nulla al riguardo nella Conferenza, nemmeno una menzione negli interventi principali, tranne che fortunatamente nel discorso del Segretario generale, António Guterres. Il tema dell’acqua bene comune non privatizzabile è emerso durante la Conferenza? PAA Per la prima volta è stato introdotto il concetto di ciclo dell’acqua come bene comune globale. Apparentemente questo potrebbe avere conseguenze positive nella concezione del valore sociale dell’acqua ma penso sia necessario un chiarimento, perché potrebbe anche averne di pericolose. Dietro questa definizione c’è un chiaro riferimento al cambiamento climatico e al suo impatto sul settore idrico, che deve essere affrontato collettivamente come parte di un’economia globale. L’assunto di base è corretto: devono essere messe in atto strategie di mitigazione adeguate e di larga scala. Tuttavia, penso che la gestione dell’acqua debba adottare un approccio ecosistemico partecipativo legato ai territori, così come le strategie di adattamento, visto che gli impatti e le conseguenze climatiche sono diverse da luogo a luogo. Per capirci, la desertificazione nel Sahel è diversa dal degrado forestale in Amazzonia. Il cambiamento climatico è un problema globale, mentre la gestione dell’acqua è una questione territoriale. Al momento, in qualità di Relatore speciale chiedo quindi di chiarire questa nuova definizione, anche perché è legata al dibattito sul riconoscimento dell’acqua come bene comune. Cosa anche che deve avvenire presto, come ha precisato lo stesso Segretario generale dell’Onu Guterres. I due concetti non possono essere in contrasto, l’acqua infatti deve essere considerata un bene accessibile a tutti, ma non appropriabile da nessuno. Lei ha potuto ascoltare agli interventi dei diversi movimenti sociali e delle popolazioni indigene? Come ha percepito l’atmosfera fuori dalle sale “istituzionali”? PAA Ci sono stati molti eventi collaterali e quattro eventi speciali. Questi ultimi sono stati introdotti sotto la pressione dei movimenti sociali e delle popolazioni indigene, la cui partecipazione è stata molto importante e dove hanno, per esempio, condiviso le loro conoscenze sugli ecosistemi acquatici da cui dipendono e modelli comunitari di gestione idrica. In generale il dibattito è stato molto vivo, segnando un grande contrasto tra i discorsi ufficiali e le voci dei cittadini riguardo questi temi. Ma l’evento più significativo, che forse rimarrà come riferimento storico, è stata la firma e la presentazione alla vigilia della Conferenza del Manifesto per la giustizia idrica, frutto per la prima volta di una coalizione tra movimenti sociali e le principali Organizzazioni non governative, con il sostegno dei principali leader indigeni. Un altro risultato, indiretto della Conferenza, è stata la Dichiarazione dei popoli indigeni, approvata dai rappresentanti delle sette regioni socio-culturali indigene pochi giorni dopo dell’inizio della conferenza. Si tratta di due documenti importanti, perché esprimono la posizione dei difensori dell’acqua, che chiedono di essere presi in considerazione nel dibattito pubblico in quanto detentori di diritti (rights holder) e non semplici portatori di interessi (stake holders). Spesso si parla di dialogo con le parti interessate, ma chi poi prende la parola? Coloro che hanno abbastanza soldi per volare a New York. Ora invece i detentori di diritti stanno bussando alle porte delle Nazioni Unite per chiedere: “Possiamo entrare e collaborare con voi?”. È una questione molto importante che, a mio avviso, deve essere tenuta in considerazione in futuro, e in questo senso sono soddisfatto degli esiti della Conferenza: non tanto per i risultati formali ma per il coinvolgimento di tante persone che hanno rivendicato il proprio diritto a partecipare al dialogo e lavorare congiuntamente con l’Onu. Noi abbiamo bisogno delle Nazioni Unite, certo, ma le Nazioni Unite hanno bisogno di noi. Credo che l’Onu necessiti di riforme democratiche, per aprire le porte a questo tipo di partecipazione sociale, e che con essa si rafforzerà. Qualcosa di positivo è dunque emerso da questa Conferenza, soprattutto a livello di spunti per il futuro? 9 PAA Ho potuto parlare con molte di quelle persone inascoltate e spesso invisibili ma che si battono di più per uno sviluppo sostenibile. Sono titolari di diritti ma non hanno ancora il giusto spazio per esprimerli. Mi auguro che la prossima volta, ad esempio, prima del summit sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile di settembre 2023, o al summit sul Futuro nel 2024, si possa cogliere l’occasione di riflettere su altri tipi di priorità anche viste le nuove coalizioni emerse in questa Conferenza. Ecco forse loro potrebbero fornire una spinta diversa all’interno dell’Onu.” “Pacifismo: le tre proposte del Movimento europeo di azione nonviolenta", 7/04/2023, - Redaz. del sito internet Vita.it “Arrivano per Pasqua le proposte del Mean, proposte alle varie anime del pacifismo italiano e alle istituzioni italiane ed europee perché percorrano vie strutturali per la pacificazione. La convocazione di una «Conferenza Europea sui criteri per la istituzione e per la operatività dei Corpi Civili di Pace Europei», la richiesta al Governo italiano di ripensare e rilanciare i CCP e infine la convocazione di una Marcia della fraternità in Ucraina da farsi entro l'estate. Firmate il documento” “Arrivano per Pasqua le proposte del Movimento europeo di azione nonviolenta (Mean), proposte alle varie anime del pacifismo italiano e alle istituzioni italiane ed europee perché percorrano vie strutturali per la pacificazione. “Di fronte alla guerra di aggressione russa i membri del Movimento Europeo di Azione Nonviolenta, assieme agli esponenti della società civile ucraina e in sintonia con la voce dell’opposizione russa alla guerra, hanno a lungo discusso e riflettuto su due domande: “Come avremmo potuto evitarla?”, “Cosa fare per porre fine alla guerra al più presto senza perpetuare le condizioni che l’hanno resa possibile?” La nostra riflessione si propone di far uscire la società civile pacifista da un dibattito polarizzato sull’opportunità o meno dell’invio delle armi per provare a ritrovare l’indispensabile unità di intenti e d’azione necessaria al cammino di una pace possibile e giusta”. Tra appelli superficiali e accordi disattesi. Che fare quindi? Come smarcarsi dai tentativi fatti in questi anni di interposizione civile e falliti, come andare oltre i facili appelli alla pace senza concretezza e senza costrutto, appelli fatti spesso sulla testa e sulla sofferenza del popolo ucraino? Il Mean propone una strada. Come esponenti di una società civile europea che si colloca decisamente al fianco del popolo ucraino, nel mezzo di una aggressione che punta a terrorizzare i civili ed a sottomettere un intero popolo ai voleri di una superpotenza atomica, troviamo insopportabile la reiterazione degli appelli alla ripresa di negoziati che non siano forieri di una concreta capacità di implementazione. La storia della indipendenza Ucraina, dal 1991 ad oggi, è costellata da patti e accordi rimasti sulla carta e, francamente, visto che il risultato sono case e vite distrutte, pensiamo sia inutile ridurre il discorso alla dicotomia, rassicurante solo per il dibattito mediatico, pace/guerra, come se nel pacifismo europeo ci fosse un popolo diabolico. favorevole al protrarsi della guerra ed un altro virtuoso che, contestando l’invio delle armi, si schiera automaticamente per la pace. Se lo scenario che abbiamo di fronte fosse di così facile risoluzione non servirebbe l’apporto del pensiero critico del pacifismo e della nonviolenza. Riteniamo vitale, invece, che tutto il movimento pacifista unitariamente, accanto alle battaglie e campagne per il disarmo e la non proliferazione nucleare, si mobiliti urgentemente oggi affinché il Consiglio Europeo decida finalmente la istituzione di autentici Corpi Civili di Pace Europei, dotati di tutti gli strumenti e mezzi che ne assicurino l’autorevolezza e la forza necessarie ad adempiere la loro missione” Il documento del Mean si chiude lanciando 3 proposte concrete a movimenti e istituzioni. Prima proposta 10 La prima proposta è “la convocazione di una “Conferenza Europea sui criteri per la istituzione e per la operatività dei Corpi Civili di Pace Europei” con protagonisti i costruttori di pace sia istituzionali che non governativi (come del resto era nelle intenzioni di Alex Langer) con esperienze significative sul campo. Una conferenza promossa, in una città dell’Ucraina, come sede di un tale evento. Chiediamo inoltre al Consiglio di includere il progetto di CCPE nel nuovo Civilian CSDP Compact che sarà presentato a Maggio e al governo italiano, in particolare, di sostenere questa proposta. Si tratta di osare pensare a livello europeo ad un organismo sulla gestione costruttiva dei conflitti come necessario complemento e pari dignità del corpo militare previsto dalla “Bussola” approvata dai ministri della difesa dei Paesi Ue nel marzo 2022 e che prevede entro il 2025 una forza di 5000 militari per il pronto intervento. Si tratta, per le istituzioni europee di riconoscere che come tutti i cambiamenti sistemici, anche questo, deve trovare fonte e impulso nelle dinamiche della società civile e in nuove forme di dialogo fra società civile e rappresentanze politiche”. Seconda proposta La seconda proposta “è rivolta al Governo italiano perché rilanci e ridefinisca il concetto di Corpi civili di Pace nel nostro Paese uscendo dalla sperimentazione infinita in cui li si è confinati dal 2014 ad oggi. Dal 2014 a 31 dicembre 2022, l’Italia ha speso 190 miliardi di euro in Spesa Militare ma non è riuscita a spendere 9 milioni per sperimentazione Corpi Civili di Pace”. Terza proposta La Terza proposta è la convocazione di una “Marcia nonviolenta della fraternità e della pace” da farsi possibilmente entro l’estate 2023 come manifestazione nonviolenta conclusiva della Conferenza di cui alla Proposta 1. Dalla rivoluzione francese alla liberazione dal nazifascimo l’Europa civile si è sempre distinta per la sua capacità di sovvertire con la forza degli ultimi e degli oppressi le posizioni degli oppressori, fino a costituire ordinamenti sociali ed istituzionali sempre più democratici, egalitari e liberali. Siamo altresì consapevoli di trovarci di fronte all’inedito di dover esercitare, per la prima volta dai trattati di Roma che hanno istituito la CECA e la CEE, la nostra “coscienza atomica”, la coscienza di un pacifismo attivo che ha il compito di scongiurare con ogni forza del cuore e dell’intelletto l’autodistruzione del nostro continente per mano delle potenze nucleari, potenze che sono visibilmente in gioco nello scenario attuale del conflitto ucraino. La marcia dovrà essere la dimostrazione plastica della coscienza atomica degli europei e dovrà essere capace di coinvolgere migliaia di cittadini provenienti da tutti i paesi europei e guidata dalla società civile ucraina che in questo primo anno di guerra si è distinta non solo per la resistenza in armi, ma anche e soprattutto per le tante e quotidiane forme della resistenza nonviolenta all’invasione della Federazione Russa. Essa dovrà avvenire sulla scorta degli insegnamenti gandhiani, del pensiero laico pacifista europeo e degli insegnamenti della recente dottrina sociale della Chiesa Cattolica così come delle dottrine pacifiste di tutte le religioni presenti nella nostra casa comune. La marcia europea dovrà costituire una vera e propria catena di fratellanza che metta in primo piano, in prima pagina, chi ha diritto alla difesa di fronte alla aggressione, ma non ha niente a che vedere con i “signori della guerra”, da qualsiasi parte si collochino, e ha molto a che fare con le occasioni perdute di amore e creatività, provocate da ogni guerra”. Per leggere il documento e per aderire e firmare, accedete al seguente linki: https://projectmean.it/istituire-i-corpi-civili-di-pace- europei/ "Evasione fiscale, Meloni sembra puntare più su una rivoluzione morale che sulla tecnologia", 10/02/2023, - Mario Pomini “Un vecchio proverbio dice che il buon giorno si vede dal mattino. Per la premier Meloni il mattino è arrivato con l’approvazione della legge finanziaria 2023 che ha creato un debito aggiuntivo di 21 miliardi, ha previsto un taglio delle pensioni e degli stipendi dei dipendenti pubblici, sostanziose regalie 11 fiscali per gli autonomi benestanti e una modestissima riduzione per un anno del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti. Non un inizio entusiasmante per milioni di contribuenti che si aspettavano qualcosa di diverso. Ora, in una lunga intervista ad un quotidiano economico, Meloni alza ancora il tiro e annuncia la sua rivoluzione fiscale. Tema non nuovo peraltro nella retorica della politica italiana, ricchissima di rivoluzioni mancate. La premier sul fisco, di questo mi occupo, propone l’ennesima legge delega, progetto in cui si sono cimentati anche i presidenti del Consiglio precedenti. In particolare Draghi che, pur non essendo stato in grado di approvarla, a causa anche dell’opposizione della destra che sosteneva il suo governo, ha rivisto le aliquote dell’Irpef per il cosiddetto ceto medio con una riduzione del carico fiscale di circa sei miliardi. Un discreto successo, naturalmente finanziato in disavanzo. A suo tempo, anche il bonus Renzi fu trainato dal debito. Questa sembra essere una costante della recente politica fiscale italiana: si spende ora e qualcuno pagherà domani. Quali le proposte rivoluzionarie in campo fiscale della premier? Draghi puntava sulla razionalizzazione del fisco, riducendo la selva delle aliquote flat e anche su una maggiore equità, ad esempio aggiornando gli estimi catastali fermi al 1938, anche se poi rivalutati. Tentativo non riuscito. Meloni cosa offre ora al contribuente italiano che ha il morale fiaccato dalle molte promesse? In realtà poche cose, al di là delle parole altisonanti ma che destano molta preoccupazione. Promette intanto di mettere al sicuro la finanza pubblica e quindi di contenere il debito dello stato che ha raggiunto valori molto preoccupanti anche in vista del ritorno delle regole fiscali europee. Una politica di lacrime e sangue oppure una nuova austerità economica? Nulla di tutto questo. La premier indica una via saldamente nazionalista. A dire dei suoi consiglieri economici (quali?), il problema sarebbe risolto se più italiani comprassero titoli del debito pubblico. Questa riduzione di dipendenza dai creditori stranieri aumenterebbe magicamente la stabilità del nostro debito. Magari Meloni dovrebbe far mente locale al fatto che oggi il 25% del debito è posseduto dalla detestata Banca Centrale. Questa autarchia fiscale è veramente anacronistica ed economicamente irrazionale. Nell’era della globalizzazione, il debito è debito, sia che sia posseduto da italiani o da stranieri. A questo punto sarebbe stato più onesto e coerente rivendicare l’autarchia monetaria con l’uscita dall’euro, e conseguentemente anche dal Pnrr. Il piatto forte della rivoluzione fiscale alla Meloni è una nuova legge delega alla quale lei stessa e il ministro Giorgetti stanno duramente lavorando. Le linee di intervento sono coperte da un grande riserbo per ora, come una volta si coprivano i prototipi delle auto di Formula 1. La premier afferma però nell’intervista, orgogliosamente, che la grande riforma riguarderà tutti i settori della fiscalità. Sarà una riforma copernicana stile 1973 che ha generato il fisco come oggi lo conosciamo? Le ambizioni pare ci siano. Certo Meloni non potrà offrire la promessa una riduzione fiscale erga omnes come ha fatto in campagna elettorale, perché ora è lei nella scomoda stanza dei bottoni e deve fare i conti con la realtà. E sul punto dolente per il nostro fisco dell’evasione fiscale, quali sono le novità? Meloni sembra puntare, come è nello stile retorico della destra, più su una rivoluzione morale che sugli strumenti della tecnologia. Si cercherà, dichiara, di favorire in ogni modo (leggi condoni e sanatorie) gli adempimenti spontanei. Se poi questi non arriveranno, solo allora lo Stato procederà con le sue tremende ganasce fiscali. Avrà successo questo fiacco interventismo morale, immaginiamo di stampo patriottico? Il partito dell’evasione, come uno scolaretto impertinente, si farà commuovere e convincere dagli inviti accorati della premier? C’è da augurarselo, ma la probabilità è bassina. Certo, possiamo dire che a forza di nuovi paradisi fiscali, l’evasione più che combattuta è stata legalizzata. Di sfuggita Meloni afferma anche che nella legge delega “metteremmo ovviamente al centro anche i dipendenti e i pensionati, con misure ad hoc”. Quali? Aspettiamo di vedere, ma le scelte governative finora sono andate in altre direzioni. In definitiva, anche se un giudizio è ancora prematuro, siamo di fronte ad una rivoluzione fiscale o ad una involuzione fiscale? La riforma Meloni porterà ad un fisco più equo e razionale, come è 12 auspicabile, oppure andrà nella direzione, come fanno le destre in tutto il mondo, di avvantaggiare i redditi più alti a scapito di tutti e dei servizi offerti dallo stato sociale? Purtroppo pare che sia quest’ultima direzione a prevalere. Lo dice candidamente l’architetto di questa operazione, il vicemaestro Maurizio Leo con delega al fisco, che ha parlato di un addolcimento della curva delle aliquote dell’Irpef. La nuova Irpef sarà più dolce soprattutto per i redditi più elevati perché le aliquote marginali si ridurranno in maniera sostanziale. Anche per i contribuenti poco attenti ai loro obblighi fiscali, gli onesti a posteriori, ci sarà la dolcezza del fisco. Il sistema sanzionatorio sarà reso meno severo, improntato più ad un cattolico perdono che alla meritata punizione. I veri contribuenti italiani, cioè i lavoratori dipendenti e i pensionati, sono avvisati: il nuovo fisco targato Meloni non è per loro ma per i soliti noti, evasori e privilegiati. Intanto, sono pregati di comprare i titoli di stato, altrimenti la premier non avrà le risorse per fare la sua personale rivoluzione fiscale.” "Migranti, le Ong chiedono di poter issare la bandiera dell’Onu sulle loro navi", 21/03/2023 - Michele Raviart “La richiesta in una petizione online firmata da alcune realtà della società civile italiana. Chiesta anche l’abolizione della Sar in Libia, non considerata un porto sicuro. Cecilia Strada di ResQ: "Salvare vite umane è anche salvare i nostri valori.” “Navigare nel mar Mediterraneo con la bandiera delle Nazioni Unite per “tutelare l’operato delle organizzazioni umanitarie che danno concreta attuazione al dovere di soccorso in mare previsto dalle norme internazionali”. È quanto chiedono per le loro navi alcune Ong che si occupano del salvataggio di persone migranti, insieme ad altre realtà della società civile, rivolte al segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, all’Unhcr, al Consiglio dei diritti umani e all’Organizzazione marittima internazionale. Il valore umanitario di salvare vite La petizione, una raccolta firme online, è stata promossa tra gli altri dal Festival del Cinema dei Diritti umani di Napoli, da Pax Christi e da ResQ ed è stata firmata anche dall’arcivescovo di Napoli, Domenico Battaglia. “Poter esporre le insegne delle Nazioni Unite sulle nostre navi sarebbe un’iniziativa dal valore simbolico. Significherebbe riconoscere l’importanza del lavoro a tutela della vita e della dignità umana che si fa a bordo delle navi umanitarie”, spiega la portavoce di ResQ, Cecilia Strada. “In questo periodo - che dura in realtà da alcuni anni - in cui il soccorso in mare viene criminalizzato così come vengono criminalizzate le persone migranti che attraversano il mare”, sottolinea, “poter riconoscere e riaffermare il puro valore umanitario del salvare la vita umana sarebbe un passo piuttosto importante”. Ascolta attraverso il seguente link l'intervista integrale a Cecilia Strada> https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2023 /03/20/17/136985717_F136985717.mp3 Stop alla Sar in Libia Un’altra richiesta è quella di cancellare la zona Sar libica, “perché la Libia non garantisce alcun porto sicuro, né il rispetto dei diritti umani”. Alle morti nel Mediterraneo, continua Strada, si aggiunge infatti “anche una situazione di violazione dei diritti umani continua, perché i respingimenti della guardia costiera libica riportano indietro le persone agli stupri e alle torture nei lager”, di “cui non possiamo fare finta di non sapere l’esistenza in Libia”, e che continuano ogni giorno nel Mediterraneo. Il salvataggio in mare non può essere messo in discussione Dopo la tragedia di Steccato di Cutro, quando lo scorso 26 febbraio sono morte 88 persone a largo delle coste calabresi, sono continuati i naufragi, con oltre 30 vittime a largo della Tunisia e almeno nove morti in un naufragio nelle acque algerine ieri pomeriggio. “Quello che mi impressiona e che stiamo discutendo nel 2023 se sia giusto o meno soccorrere in mare”, spiega ancora Strada. “Non ci sarebbe neanche bisogno di discutere su questo. La vita umana va salvata, protetta. Punto. Poi quando siamo tutti a terra, salvi e con i piedi asciutti possiamo parlare dei flussi migratori, dei decreti flussi, di come governare anche meglio l’accoglienza nei nostri Paesi, ma la vita umana in pericolo va salvata”. 13 La nave "Alan Kurdi" A contribuire ai soccorsi c’è anche la nave di ResQ, l’”Alan Kurdi”, che deve il suo nome al bambino di 2 anni trovato morto sulle rive della Turchia nel 2015. L’imbarcazione, originariamente una nave per la ricerca scientifica, è appena uscita dai cantieri navali dopo alcuni lavori di manutenzione ed è ora pronta per una nuova missione nel Mediterraneo, dove ha già salvato oltre duecento persone in due interventi nell’agosto e nell’ottobre scorso. Canali di accesso sicuri e legali L’unico modo in cui si potrebbe strappare le persone dalle mani dei trafficanti di esseri umani, conclude la portavoce di ResQ, è quella di aprire “canali di accesso sicuri e legali in forma di decreti flussi, perché non bastano i numeri dei corridoi umanitari, per permettere alle persone di arrivare legalmente per lavoro o per altri motivi in Italia”. “Sicuramente l’Europa deve agire unita su questo e non può essere qualcosa che viene lasciato ai Paesi che geograficamente sono i Paesi di prima accoglienza”, spiega, “bisogna lavorare a livello europeo per aprire le porte della ‘Fortezza Europa’, altrimenti il Mediterraneo continuerà ad essere il più grande cimitero del mondo, perché questo è diventato negli ultimi anni, con decine di migliaia di morti e i diritti umani che vengono violati tutti i giorni. Spesso quando diciamo che andiamo in mare diciamo non solo che salviamo gli altri, ma in realtà salviamo anche noi stessi. Salviamo i nostri valori, salviamo quello in cui crediamo a partire dal fatto che la vita umana va difesa”. "Migranti, il pericoloso rilancio dei Centri per il rimpatrio. Il Garante dei detenuti: «Inefficaci e inumani: l’uso di psicofarmaci è inquietante»", 10/04/2023, - Franz Baraggino “Il governo promette di rafforzare le espulsioni degli irregolari. E per farlo intende potenziare capienza e numero dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), i luoghi di detenzione degli stranieri in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione. Con più di 42 milioni di euro già previsti nell’ultima legge di Bilancio, il decreto sull’immigrazione varato dopo la tragedia di Cutro mette in campo procedure semplificate per la realizzazione di nuovi Cpr. Dai nove attualmente attivi, infatti, il governo Meloni vuole arrivare un centro in ogni regione. Non solo: anche il periodo di trattenimento potrebbe aumentare, dagli attuali 90 giorni a 120 o addirittura a 180, come previsto nei decreti sicurezza del primo governo Conte che la Lega vorrebbe ripristinare. Eppure i numeri hanno ormai smentito l’efficacia di queste strutture. “Avere più Cpr non serve a niente, se non a dare il messaggio simbolico del “li teniamo chiusi qui”, nient’altro”, assicura Mauro Palma, Presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale. Ma nel frattempo, spiega, “in quei posti le persone cambiano e quando ritornano nelle nostre comunità, come il più delle volte accade, sono peggiorate”. Presidente Palma, rispetto ai 500 mila irregolari stimati nel nostro Paese, i numeri dei Cpr sono minuscoli. Chi ci finisce? Complessivamente ci finiscono 10 mila persone l’anno, al massimo. Che sono il 2% degli irregolari e il turnover è molto limitato. Ma non è mai stato rimpatriato più del 50% dei trattenuti, anche quando ci stava per periodi più lunghi. Cavalcare l’emergenza e dire “abbiamo molti migranti, acceleriamo e ampliamo i Cpr” si scontra con i dati di realtà di cui disponiamo: delle 6.000 persone rimpatriate in media ogni anno, il contributo dei centri è di 3.000 rimpatri. Allora a che serve aumentare i Cpr? Ci tengo a premettere una cosa: le mie riflessioni sono sempre volte al funzionamento delle istituzioni, non al loro abbattimento. E tutelare la nostra civiltà significa tutelare le persone, anche quelle che vanno rimpatriate. Ma i Cpr si sono dimostrati uno strumento inefficace: se non realizzi rapporti bilaterali ampliando la facilitazione della riaccoglienza dei Paesi d’origine, i numeri rimarranno gli stessi e questi luoghi serviranno solo a dare un messaggio simbolico quanto fuorviante, perché alle persone che non rimpatri darai un foglio di via che non verrà ottemperato e si ricomincia. Qual è il prezzo di questa inefficacia? 14 La Convenzione europea dei diritti dell’uomo consente la detenzione di persone contro le quali è in corso un procedimento d’espulsione, ma va ricordato che la Convenzione è del 1950, quando si contemplavano casi sporadici. Oggi quel fondamento mi pare tirato come un elastico, mentre nei Cpr manca del tutto la tutela giurisdizionale e, al contrario delle carceri, non c’è il magistrato di sorveglianza. Né ci si preoccupa di trattenere persone senza possibilità di rimpatrio o di detenerle anche sapendo che non potranno partire, come si è fatto durante la pandemia. L’assenza di tutele è evidente anche nella commistione tra chi ha commesso reati, e sta nel Cpr per una misura amministrativa aggiuntiva alla sentenza penale, e chi invece non ha commesso alcun reato. Il mensile Altreconomia ha pubblicato i dati sugli psicofarmaci nei Cpr: l’uso della sedazione sembra fuori controllo. Sono dati inquietanti. I comportamenti di insofferenza acuta sono il prodotto del vuoto delle giornate, che finiscono per essere riempite o con la disperazione (con episodi di autolesionismo e suicidi, ndr) o con il danneggiamento delle strutture. Sono il frutto di uno spazio dove non sei nulla, non fai nulla e nulla avviene, salvo rimuginare sul proprio destino che è un destino di fallimento, quello del rimpatrio. Investire sulla presenza di mediatori culturali e operatori sociali sarebbe un modo per ridurre la disperazione e anche gli psicofarmaci, che in centri come quelli di Milano e Roma valgono più della metà dell’intera spesa sanitaria. E come segnala l’inchiesta di Altreconomia, la maggior parte dei centri non ha voluto fornire i dati. Chi si prende la responsabilità? Per essere ammessa, la persona deve essere certificata dal Servizio sanitario nazionale, che rilascia il nulla osta. Ma una volta dentro il medico è quello dell’ente gestore che ha vinto il bando delle prefetture, quindi anche eventuali trattamenti sanitari già in corso vengono di fatto privatizzati. Anche la vigilanza Asl sulla salubrità degli ambienti è molto rada. Non c’è lo Stato, ma c’è un privato e bandi sempre aggiudicati al risparmio. Nelle stesse strutture si vogliono sempre più persone e sempre meno personale. E siccome le rette non sono mai state riviste, le risorse messe in campo sono sempre più limitate. Allungare i tempi di trattenimento non solo è improduttivo, ma peggiorerà la situazione. Un comportamento che purtroppo riguarda tanta parte dell’Unione europea, dove la paura dell’invasione determina scelte irrazionali. C’è un altro modo? Manca una percezione sociale del problema, anche nell’opinione pubblica più informata. Tutto diventa di nicchia e ideologico. Serve più calma e si può innanzitutto ripartire dai dati, che ormai abbiamo. Facciamo una conferenza nazionale sul problema degli stranieri che devono tornare nel Paese d’origine perché non hanno diritto a rimanere. Va data una valutazione sul piano dell’investimento di spesa e di rapporto con le comunità locali, che è un processo lento che non si esaurisce nei messaggi elettorali. Perché è nelle nostre comunità che tornano le tante persone che transitano dai Cpr senza essere rimpatriate, e ci tornano in una condizione peggiore. Cosa propone? Prima ancora di guardare dentro ai Cpr, ci vuole maggiore attenzione all’inserimento lavorativo e sociale: ho visto nei Cpr persone che parlano perfettamente l’italiano, da anni nel nostro Paese. Quanto ai centri, luoghi di attesa come questi devono avere un investimento nel tempo da spendere lì e ci vogliono tutele giurisdizionali, anche evitando la commistione tra chi ha commesso reati e chi è detenuto per la pura irregolarità amministrativa. Secondo: impegno e trasparenza sugli accordi con i paesi di provenienza. Infine, lo ribadisco, mettiamo insieme le migliori intelligenze per affrontare la questione in modo strutturale. Le azioni di una democrazia devono avere la prospettiva più lunga possibile, non quella di chi mette una toppa di volta in volta.” “Il cordoglio di Rete Pace Disarmo per la scomparsa di Vittorio Bellavite”, 12/04/2023, _ Coord. Campagne della Rete Italiana Pace e Disarmo “La Rete Italiana Pace e Disarmo si unisce al cordoglio dei suoi cari e degli amici per la morte di Vittorio Bellavite, per lungo tempo presidente di “Noi Siamo 15 Chiesa” una delle organizzazioni aderenti alla nostra Rete (e prima ancora a Rete Italiana Disarmo). Figura importante dei movimenti per la Pace di ispirazione cristiana (e attivo anche nelle esperienze politiche) Vittorio Bellavite non ha mai fatto mancare il suo sostegno e quello della sua organizzazione alle campagne ed attività collettive della nostra Rete. Non avendo potuto partecipare alla recente Assemblea annuale di RIPD aveva comunque voluto manifestare con un messaggio la consonanza di obiettivi e percorsi con parole chiare: “Noi Siamo Chiesa c’è, e partecipa toto corde a tutte le prese di posizione e le iniziative di Rete Pace e Disarmo. In altri momenti faremo di più”. Anche se in realtà Vittorio Bellavite ha sempre e comunque fatto tanto per la Pace e la Nonviolenza, e ci lascia in coincidenza con il sessantesimo anniversario dell’enciclica “Pacem in Terris” – ultimo lascito del Papa del Concilio Giovanni XXIII – nel cui solco si è svolta gran parte della sua azione sociale e politica. Rete Italiana Pace e Disarmo si unisce nel cordoglio e nel conforto alla moglie, ai figli, agli amici di Vittorio.” “Intervista al presidente del Comit. «Generazioni Future»: «Temi fondamentali, possiamo farcela»”, 13/04/2023, - Paolo Viana. Fonte: sito internet del quotidiano “Avvenire” “Il giurista Mattei: le armi a Kiev sono un atto di guerra, nella sanità vogliamo eliminare conflitti d'interesse” “Professor Mattei, lei è uno dei promotori del referendum abrogativo in materia di contrasto alla guerra e sostegno alla sanità pubblica. Parliamo di due quesiti già pubblicati in Gazzetta Ufficiale e sui quali Generazioni Future (ex Comitato Rodotà) inizierà a raccogliere le 500mila firme necessarie dal 22 aprile. Ci chiediamo, tuttavia, se il referendum sia ancora uno strumento democratico utile, visto che per trovarne uno che abbia raggiunto il quorum bisogna tornare indietro di undici anni? È normale che siano pochi i referendum a riuscire. Organizzarli è molto complesso e il quorum del 50% oggi non lo si raggiunge neppure alle elezioni! Il nostro referendum ex Art. 75 della Costituzione tuttavia è una risorsa costituzionale preziosa perché consente ai cittadini di esprimersi con atti aventi forza di legge senza la mediazione dei partiti. Quando i temi sono fondamentali e i cittadini si sentono traditi dai rappresentanti, i referendum possono riuscire e avere un impatto forte. È scandaloso portare un popolo in guerra senza consultarlo. Undici anni fa si votava su nucleare e impeachment, ma soprattutto sull'acqua come bene comune. Quali conseguenze reali ha avuto quel voto? Gli esiti referendari non si comparano con un mondo ideale, ma con cosa sarebbe successo se non si fossero tenuti. Nel caso dell'acqua e del Decreto Ronchi sui servizi pubblici di interesse economico, non fare il referendum avrebbe significato una nuova privatizzazione massiccia il 31 dicembre del 2011, che avrebbe sottratto ai cittadini - a favore del capitale - circa 250 miliardi! Gli italiani si sono salvati in corner. Vero, le cose non sono cambiate in meglio, ma abbiamo evitato il molto peggio. Veniamo ai quesiti che avete proposto. Uno vuole impedire che l'Italia mandi armi agli ucraini, l'altro che le Regioni finanzino la sanità privata convenzionata e le istituzioni prive di scopo di lucro. Cosa li unisce? Noi non siamo contrari al finanziamento della sanità convenzionata, isamo contrari al fatto che gli enti finanziati decidano sui propri finanziamenti. Crediamo che la sanità convenzionata possa essere preziosa per il Paese ma che sia una distorsione che essa stessa decida o influenzi le decisioni di spesa che vanno prese da soggetti politicamente responsabili dell'interesse pubblico, non di quello dei settori privati finanziati. Il nostro è un referendum contro il conflitto di interessi, non contro la sanità privata. Il conflitto di interessi ha determinato la sotto- strutturazione delle terapie intensive (tragica in pandemia) e ne ha pervaso sotto molti aspetti la gestione. Il conflitto di interessi spiega anche lo zelo 16 con cui i politici europei si asserviscono ai diktat del complesso militare industriale, anche qui con tragiche conseguenze di morte; per ora in Russia e Ucraina, ma l'escalation non può essere esclusa. Perché un comitato che si schiera per la pace? e quindi sarà favorevole, ad esempio, alle formazioni sociali impegnate nel campo dell'assistenza ai profughi? si schiera contro altre formazioni sociali che, analogamente non profit, prestano assistenza ai malati? Ribadisco: Generazioni Future si batte per il pluralismo, la sussidiarietà e i beni comuni in tutti i settori. Certamente anche per la sanità come bene comune. Il nostro referendum è contrario solo alle distorsioni generate dal conflitto di interessi nell'assegnazione delle risorse pubbliche. Tutto il settore sociale no profit ne beneficerebbe e deve sostenerci per evitare di fare da foglia di fico ai veri beneficiari di questi processi distorti: le for profit e Big Pharma. Veniamo al secondo quesito. La Costituzione recita che "l'Italia ripudia la guerra" ma produciamo e vendiamo armi da sempre. Perché è importante abrogare la legge che le cede all'Ucraina? Mandare armi in Ucraina è un atto di guerra volto a risolvere con la violenza un conflitto internazionale di cui peraltro non siamo parte. Proprio ciò che i costituenti ripudiavano. Il fatto che sempre ci si sia comportati male (si pensi all'aggressione Nato a Belgrado, partita dalle nostre basi con il governo D'Alema) non significa che si debba continuare a farlo. Se gli italiani arriveranno a esprimersi, molti si chiederanno: togliere le armi a Kiev vuol dire spianare la strada a Putin? Risponda lei. Ridurre le questioni serie in tifoserie opposte è una strategia di governamentalità (modello di controllo, ndr) che il potere usa da sempre. Lo abbiamo visto in pandemia con la costruzione mediatica dei no-Vax e le famiglie che si sono divise, lo vediamo ora nel derby fra putinisti e zelenskyani. Certo, i media dominanti cercheranno di usare anche quella carta per sconfiggere i referendum. Ma il popolo italiano non è stupido. Questo referendum non si schiera. Ai nostri banchetti sono vietate le bandiere, sia russe che ucraine. Non si lavora per la pace prendendo partito. C'è un filo rosso che unisce pacifismo e politica extraparlamentare: la politica "ufficiale" non li riconosce, li considera espressioni impo-litiche, se non rivoluzionarie. Referendum e comitati hanno delle possibilità di lasciare un segno nella Storia di questo Paese? Per questo il referendum è un'arma preziosa. Possiamo certificare con atti aventi forza di legge che il popolo in maggioranza vuole welfare e non vuole warfare. Se raggiungiamo il quorum e vinciamo si apre una questione politica grande come una casa, che dobbiamo essere bravi a far maturare, per diventare davvero determinanti contro il neoliberismo e l'emergenzialismo che uccidono.” “Pace e sanità beni comuni. Dovere di disarmo e diritto alla salute. Al via la campagna per tre referendum”, 13/04/2023, - Paolo Viana. Fonte: sito internet del quotidiano “Avvenire” “Il tre marzo 2023 sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale tre quesiti referendari. Due, uno sul disarmo e uno sulla sanità, sono promossi da Generazioni Future (ex Comitato Rodot, lo stesso dei due referendum sull'acqua del 2011); un terzo, sul disarmo, dal comitato "Ripudia la guerra". I comitati collaboreranno nella raccolta delle firme. Due hanno come obiettivo il disarmo e uno la salute pubblica, intesi come beni comuni da governare nell'interesse delle generazioni future, secondo la definizione che oggi in Costituzione ("Tutela l'ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell'interesse delle future generazioni", recita l'articolo 9). La raccolta delle firme su tutti i tre quesiti (che riportiamo a parte in questa pagina), riconoscibili dal titolo "Italia per la pace", inizierà il 22 aprile, significativamente nei giorni che conducono alla Festa della Liberazione del 25 aprile. Durer tre mesi e dovrà raggiungere 500mila firme valide da presentare alla 17 Corte di Cassazione e poi a quella Costituzionale, al fine di poter celebrare il referendum. Un contratto con la piattaforma Agile consentirà la raccolta online delle firme. Per partecipare ci si può registrare su generazionifuture.org. La decisione finale della Corte Costituzionale sull'ammissibilità, presumibilmente, arriverà entro fine 2023, per poi votare fra il 15 aprile e il 15 giugno 2024. L'iniziativa disarmo + sanità è stata portata avanti finora dal "Comitato di Liberazione Nazionale" presieduto da Ugo Mattei. Il comitato "Ripudia la guerra" guidato da Enzo Pennetta. Per quanto riguarda il primo quesito, l'abrogazione andrebbe ad incidere sulla normativa in base alla quale il Piano sanitario regionale rappresenta il piano strategico degli interventi per gli obiettivi di salute e il funzionamento dei servizi per soddisfare le esigenze specifiche della popolazione regionale anche in riferimento agli obiettivi del Piano sanitario nazionale. Le regioni, entro centocinquanta giorni dalla data di entrata in vigore del Piano sanitario nazionale, adottano o adeguano i Piani sanitari regionali, prevedendo forme di partecipazione delle autonomie locali, ai sensi dell'articolo 2, comma 2bis, nonché delle formazioni sociali private non aventi scopo di lucro impegnate nel campo dell'assistenza sociale e sanitaria, delle organizzazioni sindacali degli operatori sanitari pubblici e privati e delle strutture private accreditate dal Servizio sanitario nazionale. Secondo i promotori, attraverso la cancellazione dell'ultima parte della legge, per cui le Regioni, cui compete la gestione del sistema sanitario a livello territoriale, possono prevedere la partecipazione nella programmazione della sanità anche di soggetti privati, si impedisce il conflitto di interessi nell'allocazione degli ingenti fondi pubblici. Non chiaro, e probabilmente sarà chiarito durante la campagna referendaria, se e come una vittoria di questo quesito possa nuocere alla sanità privata convenzionata, che ha una funzione pubblica, e non solo alla sanità privata profit, che trae esclusivamente un vantaggio economico dall'assistenza sanitaria. L'intervista a Mattei che pubblichiamo inizia ad affrontare anche questo tema. Il quesito sanitario si intreccia poi con il tema bellico, in base all'assunto che la guerra sottrae risorse pubbliche alla salute e lo fa per finanziare la cessione di armi all'Ucraina. I nostri rappresentanti hanno deciso di destinare ingenti somme di denaro alla produzione di armi da inviare all'Ucraina. Noi riteniamo che il popolo in maggioranza non sia d'accordo e con il referendum intendiamo provarlo. Si badi: la devoluzione di soldi pubblici alle armi non limitata alla vicenda tra russi e ucraini, ma si mantiene viva ordinariamente, sempre, solo massimizzandosi in questi anni di guerra corrente, affermano i promotori del referendum. E veniamo qui al terzo quesito, che riguarda la legge 185 del 1990 che proibisce all'Italia l'esportazione e il transito sul territorio nazionale di armamenti destinati a Paesi in guerra. L'obiettivo dunque politico: se l'esito del referendum dovesse essere positivo e la legge cancellata, per i partiti non sarebbe pi possibile introdurre altre leggi che riproducessero la stessa sostanza di autorizzazione al finanziamento della guerra. Questo quesito mira a far s che non basti l'informativa del Governo al Parlamento per derogare al divieto di inviare armi in teatri di guerra, ma occorra una legge formale per derogare alla Legge 185. I quesiti 1 Questione sanitaria «Volete voi abrogare l'Art. 1 (Program-mazione sanitaria nazionale e definizione dei livelli uniformi di assistenza), comma 13, D.lgs 502/1992 (Riordino della disciplina in materia sanitaria), limitatamente alle parole "e privati e delle strutture private accreditate dal Servizio sanitario nazionale"?» 2 Armi all'Ucraina «Volete voi che sia abrogato l'Art. 1 del Dl 2 dicembre 2022 n. 185, convertito in legge n. 8 del 27 gennaio 2023: "È prorogata, fino al 31 dicembre 2023, previo atto di indirizzo delle Camere, l'autorizzazione alla cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell'Ucraina, di cui all'articolo 2-bis del decreto-legge 25 febbraio 2022, n. 14, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 aprile 2022, n. 28, nei termini e con le modalità ivi stabilite?» 3 Export bellico «Volete voi che sia abrogato l'art. 1, comma 6, lettera a), legge 09 luglio 1990, n. 185, rubricata "Nuove norme sul controllo dell'esportazione, importazione e 18 transito dei materiali di armamento", e successive modificazioni (che prevede: "L'esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiali di armamento sono altresì vietati: a) verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i princìpi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell'Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere" limitatamente alle parole "o le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere"?» “Prima che I nostri fratelli bianchi venissero a civilizzarci, non avevamo prigioni. Quindi, non avevamo criminali. Non avevamo neanche chiusure a serratura e relative chiavi. Non c’erano ladri da noi. Se un uomo era così povero da non avere né un cavallo, né un teepee e una coperta, qualcuno che gli fornisse quelle cose ci sarebbe stato. Eravamo troppo incivili per attribuire tanto valore ai possedimenti personali. Volevamo procurarci cose solo per avere la possibilità di elargirle. Non avevamo il denaro, e quindi il valore di un uomo non poteva essere misurato da un tale strumento.” - John Fire «Lame Deer», Sioux Lakota 19 Notiziario settimanale AAdP Gruppo di redazione: Chiara Bontempi Andrea De Casa Davide Finelli Gino Buratti Daniele Terzoni Il presente notiziario settimanale, oltre ad essere un servizio di informazione sulle diverse iniziative promosse dalle associazioni, è anche uno spazio aperto per condividere pensieri, documenti, riflessioni, proposte, ma anche suggerimenti di letture, recensioni sui temi della pace, della nonviolenza, della giustizia, della solidarietà, dei diritti. Chiunque voglia dare il proprio contributo deve solo farlo pervenire alla Redazione del Notiziario chiedendone la pubblicazione sul notiziario. 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