Da tempo avrei voluto invitare uno di voi a parlare ai miei ragazzi della vostra vita.
Una vita che i ragazzi e io non capiamo.
Avremmo pero' voluto fare uno sforzo per capire e soprattutto domandarvi come
avete affrontato alcuni problemi pratici della vita militare. Non ho fatto in tempo a
organizzare questo incontro tra voi e la mia scuola.
Io l'avrei voluto privato, ma ora che avete rotto il silenzio voi, e su un giornale, non
posso fare a meno di farvi quelle stesse domande pubblicamente.
Primo, perche' avete insultato dei cittadini che noi e molti altri ammiriamo. E
nessuno, ch'io sappia, vi aveva chiamati in causa. A meno di pensare che il solo
esempio di quella loro eroica coerenza cristiana bruci dentro di voi una qualche
vostra incertezza interiore.
Secondo, perche' avete usato, con estrema leggerezza e senza chiarirne la portata,
vocaboli che sono piu' grandi di voi.
Nel rispondermi badate che l'opinione pubblica e' oggi piu' matura che in altri tempi
e non si contentera' ne' d'un vostro silenzio, ne' d'una risposta generica che sfugga
alle singole domande. Paroloni sentimentali o volgari insulti agli obiettori o a me
non sono argomenti. Se avete argomenti saro' ben lieto di darvene atto e di
ricredermi se nella fretta di scrivere mi fossero sfuggite cose non giuste.
Non discutero' qui l'idea di Patria in se'. Non mi piacciono queste divisioni.
Se voi pero' avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi diro' che,
nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in
diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia
Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto, senza essere richiamati dalla
Curia, di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente
squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto di dire che anche i poveri possono e
debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le
armi che voi approvate sono orri