About Rete Ambientalista Al
Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza
PFAS
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Di PFAS
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Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza
PFAS
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Di PFAS
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15 Martina Ruscelli1 Margherita Di Giam- pietro1 Andrea Barbarossa2 Giampiero Pagliuca2 Luigi Corvaglia1 Arianna Aceti1 1 Terapia Intensiva Neona- tale, IRCCS AOU Bologna, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università di Bologna 2 Dipartimento di Scien- ze Mediche Veterinarie, CIRI Scienze della Vita e Tecnologie per la Salute, Università di Bologna Nell’ambito dei contami- nanti emergenti, stanno destando sempre mag- giore interesse ed atten- zione a livello nazionale ed internazionale le so- stanze per- e polifluo- roalchiliche (PFAS), un gruppo eterogeneo di composti chimici sinteti- ci con uno o più atomi di carbonio completamente fluorurati1. La presenza di legami carbonio-fluoro, tra i legami covalenti più forti in natura, conferisce loro proprietà chimico- fisiche uniche, quali un’e- levata resistenza alla degradazione (motivo per cui sono stati defi- niti anche come forever chemicals), nonché idro- fobicità e oleofobicità; proprio in virtù di tali ca- ratteristiche, i PFAS han- no trovato varie applica- zioni a partire dagli anni 50 del secolo scorso sia in ambito industriale, in cui sono noti soprattutto come uno dei principali componenti degli agenti estinguenti a schiuma filmogena acquosa, sia in vari prodotti di con- sumo, come imballaggi alimentari, stoviglie an- tiaderenti, indumenti, tappezzeria e prodotti per la casa2. Ad oggi, in base all’ul- timo report della Or- ganization for Economic Co-operation and Deve- lopment del 2018, sono stati identificati un totale di 4730 PFAS 3. Secondo la classifica- zione in uso dal 2011, i PFAS si suddividono in due categorie primarie: le molecole polimeriche e quelle non polimeri- che. A loro volta, le mo- lecole polimeriche com- prendono sia sostanze perfluoroalchiliche (con catena carboniosa com- pletamente fluorurata), che polifluoroalchiliche (solo parzialmente fluo- rurate). Tra le sostanze perfluoroalchiliche si trovano gli acidi perfluo- roalchilici (PFAAs), che comprendono due delle molecole più studiate in assoluto, il perfluorot- tanosolfonato (PFOS) e l’acido perfluorottanoi- co (PFOA). Le molecole polimeriche includono, invece, i fluoropolimeri (tra cui il PTFE, più co- munemente noto con il nome commerciale Te- flon), i perfluoropolieteri FOREVER CHEMICALS: SOSTANZE PERFLUOROALCHILICHE E SALUTE UMANA, UNA RELAZIONE PER SEMPRE? e i polimeri fluorurati a catena laterale4. La lun- ghezza della catena car- boniosa fluorurata è un importante determinan- te delle proprietà chimi- che di questi composti; infatti, più essa è lunga, più la molecola risulta resistente alla biodegra- dazione, con conseguen- te maggior rischio di ac- cumulo nell’ambiente e tossicità per l’uomo5,6. L’interesse in merito ai potenziali effetti sulla salute umana di queste sostanze si è sviluppato nei primi anni 2000, in seguito al rilevamento di tali composti nel cir- colo ematico della fauna artica2. Da allora, si sono susseguite varie regola- mentazioni in merito, a partire dall’inserimento del PFOS nella lista dei POPs (Persistent Organic Pollutants), soggetti a re- strizioni secondo la Con- venzione di Stoccolma del 2009, con il parallelo shift dell’industria chimi- ca verso la produzione di molecole alternative a catena breve, i cosiddetti PFAS emergenti. Tutta- via, sono sempre più nu- merose le segnalazioni in letteratura in merito all’accumulo ambientale anche di queste ultime, con conseguente au- mento di quelle in corso di valutazione da parte della European Chemicals Agency come sostanze estremamente preoccu- panti secondo la norma- tiva REACH (https:// echa.europa.eu/it/can- didate-list-table). L’esposizione umana ai PFAS può avvenire tra- mite diverse vie, avendo come punto di partenza comune la produzione industriale. Per quanto ci siano notevoli diffe- renze in base ai gruppi di popolazione analizzati, si stima che, globalmen- te, la principale fonte di esposizione sia quella alimentare, in partico- lare tramite pesce, car- ne, uova, latte e acqua potabile. Ciò è conse- continua a pag. 16>> GdS Nutrizione e Gastroenterologia Neonatale 16 guenza dell’inquinamen- to ambientale causato dalle acque reflue de- gli impianti industriali, da un lato canalizzate nella rete fluviale fino a raggiungere l’ecosiste- ma marino, e dall’altro spesso impiegate per produrre fertilizzanti agricoli a partire dai fan- ghi di depurazione, che determinano contami- nazione alimentare per gli animali di allevamen- to e, in ultima istanza, per l’uomo. Nel 2020, la European Food Safety Authority (EFSA) ha sta- bilito un nuovo limite di assunzione di 4.4 ng/ kg a settimana per la miscela di PFOA, PFNA, PFHxS, PFOS7. Sono, in- vece, meno significative per la popolazione gene- rale l’inalazione di pre- cursori volatili e l’esposi- zione transdermica, che costituiscono, tuttavia, le principali vie di espo- sizione per i lavoratori dell’industria chimica2,8. All’interno dell’orga- nismo umano, i PFAS sembrano comportarsi come interferenti en- docrini, determinando, potenzialmente, nume- rosi effetti avversi sulla salute umana 9. I dati più consistenti in merito agli effetti dell’esposizione ai PFAS provengono dal C8 Health Project10, uno studio longitudinale di popolazione condotto in West Virginia su 69.030 abitanti delle zone limi- trofe agli stabilimenti della DuPont Washington Works, nato in seguito ad un’azione legale col- lettiva avviata contro il colosso industriale, a causa della contamina- zione delle falde acqui- fere locali. Dallo studio è emerso che l’esposi- zione a PFAS è correlata a varie patologie umane, in particolare ipercole- sterolemia, alterazioni della funzionalità tiroi- dea, ipertensione gesta- zionale, colite ulcerosa, neoplasie renali e testi- colari2. Tali associazioni sono state in seguito in- dagate e confermate da altri lavori in letteratura, che hanno anche eviden- ziato un’aumentata inci- denza di steatosi epatica precoce, insulino-resi- stenza, malattia renale cronica, obesità infantile e riduzione della fertilità in ambo i sessi, per alte- razioni quali-quantitative della conta spermatica e disregolazione del ciclo mestruale11. Per quanto riguarda il campo oncologico, è re- centissima l’ultima valu- tazione di PFOA e PFOS da parte della Interna- tional Agency for Cancer Research: il primo è stato classificato come carci- nogeno per l’uomo, po- tendo determinare una serie di neoplasie beni- gne e maligne di fegato, pancreas, utero, rene e testicolo; il secondo è stato definito come po- tenzialmente carcino- geno, in base all’asso- ciazione con alcuni casi di neoplasie epatiche in modelli animali e spora- dici casi di neoplasie al testicolo, seno e tiroide nell’uomo. Per entrambi, è stata evidenziata la po- tenzialità di determinare alterazioni epigenetiche, indurre stress ossidativo e sopprimere il sistema immunitario8. Quest’ulti- mo effetto è confermato dal riscontro di una ridot- ta risposta vaccinale e un’aumentata incidenza di infezioni in età pedia- trica in seguito ad espo- sizione prenatale a PFOS e PFHxS8,11. A tal proposito, i bambini e le donne incinte rap- presentano popolazioni particolarmente vulne- rabili agli effetti di queste sostanze chimiche. Infat- ti, l’esposizione a PFAS in gravidanza non solo è correlata ad aumentata incidenza di complicanze materne, come l’iperten- sione gestazionale, ma può avere conseguenze negative anche sul feto, incrementando il rischio di prematurità e bas- so peso alla nascita2,12. Alcuni degli effetti dei PFAS sul neonato, e suc- cessivamente sul bam- bino, potrebbero essere mediati da alterazioni precoci del microbiota, come variazioni nella biodiversità batterica13 (in particolare aumento di Enterococchi e ridu- zione di Lattobacilli14), che in questa fase della vita potrebbe contribuire a conseguenze cliniche sfavorevoli, come l’au- mento della suscettibilità a infezioni respiratorie, condizione, peraltro, già associata all’esposizione a PFAS8,11. Per tali motivi, lo studio multiomico del- le caratteristiche e delle funzioni del microbiota neonatale potrebbe es- sere estremamente utile per comprendere meglio la tossicità di questi con- taminanti. Dopo la fase prenatale, il neonato continua a rice- vere PFAS tramite sia il latte materno, che quel- lo in formula, tant’è che le concentrazioni ema- tiche nei lattanti posso- no superare in maniera significativa quelle ma- terne15. Secondo l’EFSA, le concentrazioni di tali composti nel latte ma- terno non dovrebbero superare i 60 ng/L per PFOA e PFNA, 73 ng/L per PFHxS e PFOS e 133 ng/L per la somma dei quattro7. LaKind et al.15 hanno evidenziato che a livello globale le concen- trazioni di PFAS nel latte materno, che dovrebbe costituire l’unica fonte di alimentazione per i primi sei mesi di vita, spesso superano i livelli di si- curezza pediatrici di tali sostanze nell’acqua po- tabile. Ciò non significa che abbiano necessaria- mente un impatto nega- tivo sulla salute, ma pone l’accento sulla necessità di una valutazione più approfondita in merito alla presenza di tali so- stanze nel latte. Questa tematica risulta ancora più importante per i neonati prematuri, nei quali l’effetto immu- nosoppressivo dei PFAS assunti tramite latte ma- terno o donato può ave- re un impatto notevole a causa della maggiore vulnerabilità del loro si- stema immunitario16. At- tualmente, i dati in lette- ratura relativi al rapporto tra PFAS e prematurità sono molto limitati e rappresentano un cam- po meritevole di ulteriori analisi; dati preliminari suggeriscono, tuttavia, per questi pazienti dei li- velli di esposizione supe- riori ai limiti di sicurezza stabiliti dall’EFSA16. Per quanto riguarda, in- vece, il latte di banca, Serrano et al.17 hanno condotto uno studio su una coorte di 82 dona- trici della Banca del Lat- te di Granada, da cui è emersa la presenza di numerosi PFAS nei cam- pioni di latte, con netta prevalenza di composti a catena breve (PFHpA e PFHxA) su quelli a ca- tena lunga, eccezion fat- ta per la persistenza di PFOA e PFNA, benché a concentrazioni inferiori rispetto ai dati riportati in studi precedenti. Ol- tre ai cambiamenti nella produzione industriale, probabilmente ciò è do- vuto anche alla maggiore solubilità e minor peso molecolare dei compo- sti a catena breve, che segue da pag. 15 continua a pag. 17>> 17 ne facilitano il passaggio attraverso le membrane dell’epitelio mammario. Somministrando alla stessa coorte di madri un questionario relativo al contesto sociodemo- grafico e allo stile di vita, è stata riscontrata un’as- sociazione tra livelli più alti di PFAS ed elevata assunzione di carne e cibi fritti, vita in conte- sto urbano e utilizzo di prodotti per la cura per- sonale, quali cosmetici, creme solari e profumi. Meno chiara è l’associa- zione con l’età materna, l’incremento ponderale durante la gravidanza e la parità, sebbene in me- rito a quest’ultima vari lavori sembrano sugge- rire un aumentato tra- sferimento di PFAS, sia per via transplacentare, che in allattamento, ai primogeniti18. Per quanto riguarda, invece, il latte in formu- la, le concentrazioni di PFAS potrebbero essere inferiori rispetto al latte materno, ma al momen- to i dati in letteratura risultano contrastanti. Inoltre, la quota di PFAS presente nelle prepara- zioni in polvere e nell’ac- qua utilizzata per rico- stituirle può variare in maniera significativa sia in base alla produzione industriale, che alle di- verse aree geografiche15. Come per altre fonti di esposizione, anche per il latte sono emerse note- voli differenze geografi- che: le concentrazioni di PFAS nel latte delle ma- dri asiatiche, soprattutto cinesi, risultano sensi- bilmente più alte rispet- to a quelle europee19, comprendendo anche elevate quantità di quel- li di nuova generazione (come gli PFECAs, acidi perfluoroeteri carbossi- lici)20. Il trasporto dei PFAS nel latte avviene, vero- similmente, grazie al legame con le proteine, pertanto, considerata la fisiologica riduzione della quota proteica, in particolare nell’arco dei primi sei mesi di allatta- mento, è stato ipotizza- to un parallelo trend in diminuzione delle con- centrazioni di PFAS. Un recente studio svedese21, condotto su una coorte di 77 madri, seguite fino a 4-12 settimane post- partum, ha confermato che le concentrazioni di tali composti nel latte si modificano con il passa- re del tempo, seguendo traiettorie che variano in base al tipo di molecola. Nello specifico, i livelli di PFOS hanno mostrato un aumento fino al 21% nel latte maturo rispet- to al colostro, mentre PFOA e PFHxS risultano diminuiti rispettivamen- te del 17% e 12%. Inoltre, minori quantità di colo- stro si associano com- plessivamente a mag- giore quantità di PFAS, e viceversa. Non da ultimo, l’esposi- zione materna a queste sostanze è stata cor- relata a ridotta durata dell’allattamento11,22, a causa della loro azione di disregolazione endo- crina; pertanto, le con- seguenze sulla salute del neonato e del lattante potrebbero risultare non solo dall’accumulo di PFAS nell’organismo, ma anche potenzialmente da un limitato accesso ai ben noti benefici del latte materno. Nel complesso, le evi- denze descritte sug- geriscono l’impellente necessità di avviare programmi di monito- raggio dei livelli di PFAS, sia vecchi che emer- genti, nel latte materno, formulato e nell’acqua utilizzata per le prepara- zioni in formula, e di sta- bilire limiti di sicurezza per le loro concentrazio- ni in questi liquidi. Sono, inoltre, necessari studi longitudinali su ampie coorti di pazienti, che consentano di osservare le conseguenze cliniche a lungo termine dell’espo- sizione precoce a queste sostanze15,23. Essendo il latte un alimento impre- scindibile nelle prime fasi della vita, una migliore comprensione di questi meccanismi sarà utile per mettere in atto azio- ni di tutela delle donne in età fertile, in gravidanza e in allattamento, che pre- sentino, in ultima istanza, un consequenziale river- bero positivo, e quindi protettivo, anche sui loro bambini. “Chi ben comincia è a metà dell’opera”: partia- mo dalla prevenzione Riflettendo su quanto detto finora, ci siamo chiesti se sia possibile fornire qualche indica- zione pratica per ridurre l’esposizione ai PFAS delle donne in età fertile e dei bambini, special- mente nella nota fine- stra temporale dei primi 1000 giorni di vita, pe- riodo caratterizzato da maggiore suscettibilità a fattori ambientali e fon- dativo per la crescita e lo sviluppo dell’individuo24. Sicuramente si tratta di un campo ancora poco conosciuto ma, citando LaKind, i dati disponibili e gli algoritmi di stima dei rischi ci suggeri- scono che “action - not waiting - is needed”23. Nell’immediato, è possi- bile agire principalmente in ambito alimentare e domestico, avendo al- cune piccole accortezze. In particolare, sarebbe utile evitare che i cibi e le bevande vengano a contatto con contenitori o imballaggi di plasti- ca, preferendo materiali come il vetro. L’acqua, sia potabile, sia quella utiliz- zata per ricostituire il lat- te in polvere e per lavare le stoviglie, dovrebbe es- sere il più possibile scevra da contaminazioni; tutta- via, questo punto è forte- mente dipendente dalla localizzazione geografica e dalla vicinanza a fonti di inquinamento. Inoltre, dovrebbe essere limitato l’utilizzo delle spugne in plastica per la detersio- ne di stoviglie e superfici, preferendo quelle in fibre naturali. Poiché la dia- de madre-figlio tende a trascorrere molto tempo all’interno dell’ambiente domestico, dove è pos- sibile l’inalazione di pre- cursori volatili dei PFAS rilasciati da tappezzeria e prodotti per la casa, è segue da pag. 16 continua a pag. 18>> 18 segue da pag. 17 importante un adeguato ricircolo dell’aria negli ambienti chiusi e l’utiliz- zo di biancheria e tappeti possibilmente in fibre naturali25. Peraltro, po- trebbe essere opportuno limitare l’utilizzo di fon- dotinta, smalti, prodotti per capelli, deodoranti e profumi, che comporta- no esposizione non solo della madre, ma anche del bambino, tramite la dispersione nell’ambien- te17. Per quanto riguarda il regime alimentare, ri- sulta, invece, più com- plesso esprimersi, in quanto mancano ancora dati esaustivi; tuttavia, si può affermare che i cibi a maggiore conte- nuto di PFAS sono quelli di derivazione animale (pesce, carne, uova, lat- te), specialmente in am- bienti limitrofi a sedi in- dustriali, con importante contaminazione delle falde acquifere. Per que- sto, al di là delle piccole azioni quotidiane, non si potrà prescindere dallo sviluppo di nuovi atti re- golatori per la produzio- ne industriale, sostenuti dalla progressione delle conoscenze scientifiche sull’“universo PFAS”. Bibliografia 1. OECD (2021). Recon- ciling Terminology of the Universe of Per- and Polyfluoroalkyl Substan- ces: Recommendations and Practical Guidance.; 2021. www.oecd.org/che- micalsafety/. 2. Sunderland EM, Hu XC, Dassuncao C, Tokranov AK, Wagner CC, Allen JG. 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