About Rete Ambientalista Al
Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza
che
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di Makhmour
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Movimenti di Lotta per la Salute, l'Ambiente, la Pace e la Nonviolenza
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di Makhmour
Report della delegazione in Iraq dal 19 al 31 maggio Tra le vittime di una persecuzione senza tempo ASSOCIAZIONE “VERSO IL KURDISTAN” Odv Verso Shengal Siamo arrivati in aeroporto a Bagdhad alle 3 e mezza del mattino del 20 maggio. In auto, abbiamo percorso cinquecentocinquanta chilometri, da Bagdhad fino a Shengal, attraverso una sterminata periferia di case in costruzione, di case abbandonate e in rovina, baracche in lamiera di frutta e verdura, box di pneumatici, cresciuti in mezzo a sterpaglie, cumuli di terra e detriti, sommersi da un vento forte che sollevava nubi di polvere a mo’ di tempesta di sabbia. La strada era costellata da ceck – point delle varie milizie - peshmerga, milizie del governo centrale, turcomanne, iraniane - che controllavano le varie fasce del territorio. Siamo finalmente arrivati a Khamasur, al centro d’accoglienza per gli ospiti, gestito dall’Autonomia di Shengal. Domani è un altro giorno e iniziamo le nostre attività e gli incontri nella piana di Ninive, la terra degli ezidi. Oggi, abbiamo appreso che il Campo rifugiati di Makhmour è stato circondato dall’esercito iracheno che pretende di isolarlo, recintandolo! Le donne e gli uomini sono usciti dal Campo, opponendosi e formando una barriera. C’è pure un ferito negli scontri che è stato trasportato all’ospedale del Campo I componenti la delegazione: Antonio Olivieri co-presidente Associazione Verso il Kurdistan Odv Lucia Giusti co-presidente Associazione Verso il Kurdistan Odv Paolo Zammori insegnante ricercatore Franco Zavatti sindacalista Cgil Modena Mirca Garuti attivista Modena Alfonso Augugliaro medico Messina Gianni Caruso medico Torino Francesco Bellosi responsabile della Comunità Il Gabbiano Carla Gagliardini attivista Casale Monferrato Giorgio Barbarini medico Pavia DAVANTI ALL’ENTRATA DEL NOSTRO OSPEDALE DI SERDEST Il Campo rifugiati di Makhmour sotto attacco L’esercito iracheno, accompagnato dalla polizia in tenuta antisommossa, si è presentato al Campo di Makhmour con blindati e ruspe, con l’intenzione di recintarlo con una rete metallica. Migliaia di residenti, già sottoposti ad embargo totale imposto dal governo regionale del Kurdistan iracheno, quello controllato dal clan Barzani, non sopportano l’idea di essere rinchiusi in massa. E, oltretutto, verrebbero privati del diritto all’autodifesa. La popolazione di Makhmour, composta soprattutto da donne, bambini e persone anziane, ha opposto una pacifica resistenza, ma, ad un certo punto, le truppe irachene hanno cominciato a sparare sulla folla. La gente ha resistito, mentre i rappresentanti dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati continuano a tacere. Il Consiglio Esecutivo del Congresso Nazionale del Kurdistan (KNC) ha diffuso un appello, rimasto sinora senza risposta. Dal Campo rifugiati di Makhmour giunge ora notizia di due ragazzi feriti, ma, a causa dell’embargo che dura ininterrottamente dal 17 luglio 2019, i feriti non possono essere trasferiti all’ospedale di Erbil. Si cerca di curarli nell’ambulatorio attrezzato (realizzato grazie le donazioni dei cittadini italiani giunte tramite l’Associazione Verso il Kurdistan). L’incontro con il Consiglio dell’Autonomia di Shengal Ci rechiamo a Sinjar City dove incontriamo il Consiglio dell’Autonomia presieduto da un uomo e da una donna, un co-presidente e una co-presidente. “Nel 2014, con l’invasione dell’ISIS – ci dicono – abbiamo costituito le nostre unità di resistenza e abbiamo, di fatto, istituito l’autonomia amministrativa che si fonda sull’articolo 125 della Costituzione. Per quanto il governo centrale iracheno e il governo del Kurdistan del nord di Barzani cerchino di ostacolarla, cercheremo di difenderla in ogni modo. Le risorse per il funzionamento dell’autonomia provengono solo dalle nostre risorse e dalle rimesse dei nostri concittadini all’estero.” Al termine dell’incontro, i rappresentanti L'INCONTRO CON IL MOVIMENTO DELLE DONNE TAJE del Consiglio avanzano un’unica richiesta: il riconoscimento del genocidio dell’ISIS avvenuto nel 2014 da parte del governo italiano. Incontro con il Centro per la Salute della città di Khamasur Nel corso dell’incontro che abbiamo avuto con il Centro per la Salute della cittadina di Khamasur, abbiamo discusso di tre progetti in corso nella provincia di Shengal. Uno, finanziato direttamente con i fondi raccolti dalla nostra associazione e con un contributo dell’associazione Fonti di Pace di Milano, riguarda la ristrutturazione e l’ampliamento del presidio sanitario nel villaggio di Serdest. Il secondo è un progetto di clinica mobile a cura di Mezzaluna Rossa Kurda che ci ha incaricato della consegna di 15 mila euro. Il terzo è il progetto dell’Arci di Firenze, finanziato con il contributo della Chiesa Valdese, per l’apertura di un altro presidio sanitario in zona. Nel pomeriggio, abbiamo raggiunto il villaggio di Serdest, dove è stato realizzato il centro sanitario che abbiamo finanziato. In questa comunità, ci sono persone che vivono in case, nelle tende e persone che non hanno né casa, né tenda. Molte di queste arrivano da fuori, perché hanno avuto le case distrutte dall’Isis nel 2014. In serata, ci è stato comunicato che l’intelligence irachena ci chiedeva di venir ripresi da un video, su richiesta dell’ambasciata italiana di Baghdad. C’è stata un po’ di confusione, abbiamo contattato il Ministero degli Esteri italiano, e, dopo qualche ora, abbiamo ricevuto una telefonata da un funzionario dell’Ambasciata italiana di Baghdad che ci ha detto che l’Ambasciata non era al corrente della nostra presenza in zona! Il giorno successivo, ci arriva l’ordine di espulsione per l’intera delegazione. Ci mettiamo in macchina per dirigerci verso Baghdad con l’intento di recarci direttamente all’Ambasciata italiana per avere una risposta ufficiale in merito. Poi, la situazione si chiarisce. Dopo circa un centinaio di chilometri, veniamo richiamati indietro e ci viene garantita la possibilità di restare fino al completamento del programma di nostri incontri. Questa avviene grazie all’impegno del Pade, CIMITERO DEI MARTIRI il partito filokurdo ezida, che si è fatto carico della tutela della nostra ospitalità e sicurezza a Khamasur. Il Centro sanitario di Serdest Ecco il Centro sanitario (nella foto) che, come associazione Verso il Kurdistan, grazie anche al contributo di Fonti di Pace, abbiamo realizzato nel villaggio di Serdest, a Shengal, nord Iraq. Verrà inaugurato nelle prossime settimane. Oggi, droni turchi hanno bombardato il villaggio di Xelef, vicino a Shengal. Ci comunicano che, oggi, per la prima volta dopo undici anni, funzionari delle Nazioni Unite hanno visitato il Campo rifugiati di Makhmour. Il cimitero dei martiri “Shahid Lak” Visitare il cimitero dei martiri “Shahid Lak” è un passaggio necessario se si vuole essere catapultati nella realtà della popolazione ezida di Shengal. Camminando tra le tombe di questo luogo, costruito tra le bellissime montagne di questa zona, si coglie immediatamente che questa follia, che produce morte tra la popolazione ezida, sta mietendo vittime tra le/i combattenti appartenenti alla generazione dei nati negli anni ’90. Il nostro interprete ci segnala due tombe, una vicina all’altra. Ci tiene a raccontarci quella storia perché lui conosceva bene uno dei due combattenti e lo stimava. Aveva ventinove anni quando è stato ucciso da un drone lanciato dal governo turco. Vicino a lui, nell’altra tomba, giace suo fratello, ucciso dallo stesso drone. Aveva diciannove anni. Due figli strappati ai loro genitori. Incontro con il Taje e con Yazidi Women’s Support Association Incontriamo il Movimento per la Libertà delle donne ezide, “Taje”, movimento costituito dopo il massacro dell’Isis per dare dignità e speranza all’indomani del dramma subito. Taje lavora per far comprendere a tutta la comunità i valori della libertà e della democrazia, che sono i valori del confederalismo democratico. In questo nostro incontro nella loro sede IL CENTRO SANITARIO CHE ABBIAMO REALIZZATO A SERDEST di Sinjar, rimarcano il desiderio che la loro voce possa arrivare al mondo intero. Ricordano, infatti, che durante l’invasione dell’Isis, i soldati iracheni e i peshmerga di Barzani, che si erano assunti il compito di proteggerli, sono fuggiti davanti all’invasore, lasciandoli soli. Per questo non si fidano più di nessuno. Sono stati abbandonati a loro stessi e la parte più colpita è stata quella delle donne. Fino al 2014, la vita delle donne dipendeva dagli uomini, ma dopo essere state rapite, vendute e stuprate dall’Isis, hanno deciso di imbracciare le armi per difendersi ed hanno liberato le donne prigioniere. E’ la conseguenza della follia della guerra e delle sue atrocità. Il genocidio continua perché viene impedito loro di tornare a Shengal e vivono tuttora in tende nei campi profughi. Dal 2014, circa il 70% della popolazione è fuggita, molti non sono tornati, vittime di una strategia da parte, da un lato, del governo turco e dall’altro, del governo regionale del clan Barzani. Al dramma delle donne rapite e violate, si unisce il dramma dei bambini nati da questa violenza, bambini senza colpa, ma con un destino già segnato, in quanto non vengono accettati dalla comunità. Nel pomeriggio, incontriamo l’associazione di supporto delle donne ezide. Si chiama “Yazidi women’s support association”. Dispongono di un’accademia, di una scuola per ragazze dove s’insegna a leggere e a scrivere e di una scuola di sartoria. Sono in costante contatto e si coordinano con l’associazione Taje. L’incontro con le YBS/YJS Il nostro programma termina con l’incontro con le unità di difesa ezida (YBS/YJS), maschili e femminili. Sono presenti un uomo e una donna che ci parlano dell’odierna situazione. “Se vuoi proteggere la tua comunità - così inizia il rappresentante delle YBS – lo devi fare in prima persona. Così è nata lo voglia di formare un’unità di difesa al posto di quelli che ci hanno abbandonati e traditi”. Le migliaia di persone che compongono le due unità di difesa sono tutti volontari ed hanno medesimi obiettivi, la stessa cultura e la stessa lingua. DISTRUZIONE AD OPERA DELL’ISIS E DEI BOMBARDAMENTI DELLA COALIZIONE DI SINJAR CITY Incontro con il Pade (Partiya Azadi’ u Demugratiya Ezidya) Incontriamo alcuni membri del Pade, il partito ezida della libertà e della democrazia, nella loro sede di Sinun, a Shengal. Tiene l’incontro Selemanhji, un responsabile del partito. Il partito è nato nel 2016, dopo il genocidio, causato dall’abbandono di 25 mila milizie irachene e 15 mila peshmerga allora presenti e che avrebbero dovuto difendere i civili dagli attacchi dell’ISIS ai villaggi. Il Pade risponde alle necessità della popolazione con l’obiettivo di fornire i servizi essenziali (come strade, linee elettriche, ecc) e diffondere la democrazia a livello di base. Prima del genocidio, la popolazione di Shengal era composta da 500 mila persone, ma, subito dopo, 100 mila sono fuggite in Europa, 350 mila si sono rifugiate nei campi profughi del Kurdistan del nord e 5 mila sono rimaste in montagna. Sono sei anni che si sono liberati dall’ISIS, ma la gente che si trova ancora nei campi profughi, difficilmente riesce a tornare perché spesso bombardano i campi profughi per spaventarli e scoraggiarli a fare ritorno. L’obiettivo è quello di dividere e disperdere la comunità. Le persone massacrate dall’ISIS sono state circa 5 mila tra uomini, donne e bambini, mentre le donne rapite sono state tra le 6.500 e 7.000. I profughi sono stati 350 mila Gli attuali abitanti in questa parte del Monte Shengal, catena montuosa lunga un centinaio di chilometri che divide a metà il nord e il sud, sono 130 mila, mentre dall’altra parte della montagna sono 230/250 mila. Quindi, devono ancora rientrare circa 100/120 mila persone. La questione femminile è molto importante per il partito, dove le donne rappresentano il 25% del totale dei militanti. Il loro programma, prima di tutto, vuole garantire lo studio e la libertà per le donne. La realizzazione dell’autonomia non ha ancora raggiunto il 100%, attualmente è intorno all’80% e le questioni tuttora aperte sono sia economiche che politiche. La causa è dovuta al fatto che gli articoli della Costituzione irachena riguardanti l’autonomia non sono ancora del tutto rispettati. Anche l’accordo del 9 ottobre TENDE DI EZIDI CHE STANNO TORNANDO IL CIMITERO DEI MARTIRI 2020, riguardante la regione, siglato tra il governo regionale e quello centrale iracheno, in coordinamento con le Nazioni Unite, senza però alcun coinvolgimento dell’Autonomia di Shengal, , ostacola la realizzazione del programma e il rientro della popolazione. Il gruppo dirigente del partito Pade è formato da 101 persone votate in ogni villaggio. Dal momento che sono totalmente contrari al sistema capitalista, si mette in pratica il sistema circolare di Ocalan, attraverso il principio dell’uguaglianza all’interno delle varie istituzioni. La gente decide e il partito fa. Anche il Pade richiede che l’Italia riconosca il genocidio del 2014. Sinjar vecchia Le rovine della vecchia Sinjar non sono il frutto del trascorrere del tempo, ma l’effetto della devastazione operata dall’ISIS che nel 2014 è entrato nella regione di Shengal e che nel 2015 ha raso al suolo questa città. La zona continua ad essere presidiata dalle forze di autodifesa e la loro presenza, che peraltro è ovunque nel Paese, unita al cumulo di macerie, dà la sensazione di una guerra che continua. L’ISIS è stato fortemente sconfitto grazie al coraggio della popolazione ezida e delle loro unità di resistenza maschili e femminili, ma la popolazione ora è sotto l’attacco continuo dei droni turchi, che, entrando nel territorio da un altro stato, quello turco, quasi giornalmente bombardano i loro villaggi. Un’espulsione di fatto A venti chilometri dal Campo di Makhmour, siamo stati bloccati dalla milizia irachena, ci hanno sequestrato i passaporti, poi ce li hanno restituiti dopo averci accompagnato a Mosul, intimandoci di raggiungere Baghdad per imbarcarci sul primo volo per l’Italia. Una espulsione di fatto alla quale ci siamo opposti con forza. Abbiamo incontrato l’ambasciatore italiano nella hall dell’albergo alle tre del mattino e per l’indomani abbiamo manifestato l’intenzione di incontrare l’UNHCR. Senza risultato. L’UNHCR non ha una sede visibile in Baghdad, né tantomeno un numero telefonico, solo un indirizzo mail al quale ci siamo rivolti. Inutilmente. I compagni di Makhmour sono stati gentili, ci hanno accompagnato fino a Baghdad con lunghe fermate ai posti di blocco e con l’obbligo, imposto dall’intellingence irachena, di segnalare la nostra posizione ogni tre ore inviando una foto collettiva. Nei giorni seguenti, ci hanno tenuti costantemente informati sull’evoluzione della situazione, fino all’accordo raggiunto con le autorità irachene per il ritiro dei militari che assediavano il Campo di Makhmour. l'intera delegazione con i responsabili del Campo di Makhmour