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"Solvay, servono nuovi studi sulla salute dei lavoratori" Antonella mariotti alessandria I sindacati lo temono e l'hanno detto: Alessandria rischia un'altra crisi occupazionale dopo l'ex Ilva, quella di Solvay che se non otterrà l'autorizzazione ambientale per ampliare la produzione di C604, si dice «costretta a ridurre la produzione di due terzi» e di conseguenza i posti di lavoro. A giugno gli era stata negata dopo che la sostanza, un Pfas brevettato da loro, era stato trovato nel pozzo di Montecastello con conseguente chiusura di quel pozzo e le proteste di ambientalisti e i timori di sindaco e cittadini del paese. L'episodio si è registrato dopo che sei mesi fa Arpa e Asl avevano presentato un'indagine epidemiologica su patologie e decessi a Spinetta. Una raccolta dati entro tre chilometri dall'impianto. I risultati e le percentuali avevano suscitato parecchi timori e inquietudine: a Spinetta si muore di più di tumore. Professor Enrico Pira, ordinario di Medicina del lavoro all'ateneo di Torino e direttore della Scuola di medicina del lavoro, specialista in oncologia clinica, è proprio così? Quei dati quanto devono preoccuparci? «Ho grande stima per il lavoro di Arpa Piemonte, con la quale collaboriamo. Ma qui c'è un problema di metodologia di studio. In questo caso non c'è la possibilità di individuare il nesso causa-effetto: di solito si individua un'area e all'interno di questa si individua il determinante». Che sarebbe? «La sostanza che pensiamo provochi l'aumento di patologie. In questo studio non ho il determinante (sostanza o gruppo di sostanze), devo fare uno studio che restringa a una sostanza. I dati poi non dimostrano che più mi avvicino all'impianto e più ho un aumento dei casi. Perché la zona presa in considerazione è ristretta ai 3 chilometri intorno all'impianto». Quindi quei dati non dimostrano il legame con una sostanza? «Per avere quel risultato devo fare uno studio di corte, in una fabbrica o una miniera dove studio il contatto stretto. Mi chiedo come mai non siano stati considerati i dati dei lavoratori della Solvay». Lei diceva anche che i «determinanti» sono difficili da individuare. Perché? «Ci sono altre industrie. Le patologie riscontrate nell'indagine sono diverse, troppo diverse per avere una sola causa. Il C6O4 poi è stato approvato dall'autorità Ue della sicurezza alimentare. Sugli effetti a lungo termine non possiamo ancora dire nulla». In Piemonte abbiamo avuto casi come l'Acna, che differenza c'è con quel sito? «È l'esempio perfetto: in quel caso c'era un rapporto stretto, la patologia era sempre la stessa: cancro alla vescica». Quindi ora per trovare il nesso causa-effetto cosa si deve fare? «Servono studi successivi. Ripeto: uno di questi dovrebbe essere l'analisi dei dati dei lavoratori». Nella popolazione però c'è preoccupazione. «Quei dati che hanno destato timore derivano da cartelle cliniche ospedaliere. Ma confrontando i due studi (Arpa e Asl) morbilità e mortalità gli effetti non coincidono. È improbabile che un'esposizione a una sola sostanza abbia un ampio range di effetto. Deve esserci una specificità di associazione». Cioè una sostanza associata a un tumore? «Deve esistere una coerenza di osservazione. Qui troviamo anche la differenza di genere: uomini e donne si ammalano in modo diverso. Se la causa è una non è possibile». Lei cosa farebbe ora? «Io aprirei gli archivi della sorveglianza sanitaria sui lavoratori. Se accumulano o non accumulano la sostanza». - © RIPRODUZIONE RISERVATA