“Dignità è contrastare la povertà, la precarietà disperata e senza orizzonte che purtroppo
mortifica le speranze di tante persone”.
Queste parole coincideranno col nuovo record storico di lavoratori precari, che potrebbe essere
stato raggiunto a gennaio: a dicembre eravamo a 3 milioni e 77mila persone, solo ventimila in
meno del record precedente (maggio 2018). Anche la ripresa post-Covid è precaria: nel 2021 i tre
quarti delle assunzioni sono state a termine (+16,4%) e un terzo è part time. Non si segnalano
interventi del governo Draghi per ridurre la precarietà (se si esclude la proroga degli sgravi al Sud),
anzi in estate in Parlamento un asse bipartisan ha partorito una norma che permette di prorogare i
rapporti a termine senza indicare causali (previo accordo coi sindacati, anche a livello aziendale).
Di fatto è stato smantellato il “dl Dignità” dell’estate 2018 (governo gialloverde), che aveva
arginato il dilagare del lavoro precario. Il settennato di Mattarella, d’altronde, si era aperto col
Jobs Act del governo Renzi, che ha eliminato l’articolo 18 e liberalizzato i voucher riducendo anche
le tutele per i demansionamenti mentre il precariato è esploso.
“È necessario assumere la lotta alle diseguaglianze e alle povertà come asse portante delle
politiche pubbliche”.
I dati indicano che la disuguaglianza si è lievemente ridotta o è rimasta stabile negli ultimi anni: nel
2020, a causa della pandemia, è risalita. La povertà assoluta (esplosa tra il 2010 e il 2018) era scesa
nel 2019 e si è impennata nel 2020, sempre causa Covid, raggiungendo il livello più elevato dal
2005. Sarebbe andata ancora peggio senza il il Reddito di cittadinanza, la più importante delle
misure anti-povertà, confermata da Draghi cedendo però alla retorica “divanista”: nella Legge di
Bilancio ha inserito norme, come la riduzione del numero di offerte di lavoro rifiutabili (eliminando
il tetto degli 80 km di distanza) bollate come “assurde” e “inutilmente” punitive dagli esperti di
politiche anti-povertà, diversi de