(da il manifesto) - Venerdì mattina, alle 6,40, duemila profughi subsahariani hanno tentato
di superare il sistema di reticolati (portato a dieci metri di altezza su decisione del governo
Sánchez nel 2020) che racchiude la città autonoma di Melilla. Solo 500 di loro sono riusciti
ad arrivare al valico di frontiera in prossimità del «Barrio Chino», dove hanno assaltato il
cancello di ingresso. In 133 sarebbero riusciti ad entrare all’interno dell’enclave spagnola
in Marocco.
Secondo le testimonianze, la maggior parte delle vittime sarebbe morta asfissiata nella
calca dopo esser caduta in un avvallamento nel tentativo di superare una recinzione, sul
lato marocchino della frontiera.
Per respingere i profughi sono intervenuti un gran numero di agenti della Guardia Civil e di
gendarmi di Rabat. Questi ultimi avrebbero arrestato circa mille migranti. Secondo varie
fonti e testimonianze, il tentativo di superamento della frontiera è stato respinto, soprattutto
dagli agenti di Rabat ma non solo, con una massiccia dose di violenza. Anche nei giorni
precedenti sulle colline che sorgono nei pressi della frontiera si sono verificati numerosi
scontri.
Fonti della Ong, dopo aver visionato video e foto, hanno denunciato che la polizia
spagnola ha rimpatriato a forza e sul momento una parte dei rifugiati che erano riusciti ad
entrare nell’enclave, violando così il loro diritto a richiedere eventualmente l’asilo politico o
altre misure di protezione e accoglienza così come previsto dal diritto internazionale.
Amnesty ha anche denunciato la violenza gratuita esercitata dalle guardie di frontiera
marocchine nei confronti di rifugiati inermi che non opponevano resistenza.
Al contrario, il presidente del governo di Madrid, Pedro Sánchez, ha elogiato l’operato
della gendarmeria marocchina e della Guardia Civil. Anche il ministro degli Esteri spagnolo
José Manuel Albares, venerdì, aveva sottolineato positivamente la «straordinaria
cooperazione» tra i corpi militari dei due paesi. Nel corso di una conferenz