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Come volevasi dimostrare, la Francia non ha nessuna intenzione di costruire il faraonico, inutile, costoso e inquinante Tav Torino-Lione: il buco di 57 km nelle Alpi e di 15-20 miliardi nelle casse italiane progettato negli anni 80 e superato dai tempi e dai dati. Se n’è accorta persino Repubblica (noi l’avevamo scritto un anno fa): il cronoprogramma del Conseil d’orientation des infrastructures rinvia la tratta francese al 2043, cioè a mai. Fra gli alti lai del cosiddetto ministro Salvini e della retrostante Confindustria, il ministro Clément Beaune prova a smentire. Ma sono almeno undici anni che Parigi non ne vuol sapere: infatti non ha mai finanziato la sua parte. Nel luglio 2012 il Figaro, citando il ministro Jérôme Cahuzac, rivelò che il governo Hollande era pronto a rinunciare, a meno che non pagasse tutto l’Ue, perché “il trasporto merci su quella tratta è sceso in vent’anni da 11 a 4 milioni di tonnellate”. La notizia gettò nel panico la Banda del Buco di destra- centro-sinistra. La stessa che nel 2018 tornò sul piede di guerra quando il ministro Toninelli affidò a un pool di economisti e ingegneri un’analisi costi-benefici. Risultato: il Tav è una boiata pazzesca, con costi di almeno 13 miliardi, perdite per 7-8, benefici per 800 milioni e un risparmio di appena 80 secondi da Milano a Lione. E, per giustificare la nuova ferrovia, le merci circolanti dovrebbero essere 25 volte le attuali. La Banda s’inventò il movimento “spontaneo” delle Madamine per nascondere i loschi interessi di partiti, imprese e clan; promosse a Torino una marcetta di 20 mila umarell, spacciata per un’oceanica rivolta del Partito del Pil contro il Partito del No; e affidò la controanalisi nientemeno che a Salvini. Rep: “Tav, controanalisi di Salvini: Costa meno finirla che fermarla”. Stampa: “Contro-dossier di Salvini: la sospensione della Tav ci costerebbe 24 miliardi”. Purtroppo il Cazzaro Verde promosso a Matteo Pitagorico non produsse uno straccio di cifra che smontasse quelle dei veri esperti. Il 7 agosto 2019 i 5Stelle proposero di disdettare il trattato italo-francese sul Tav, ma la Banda del Buco (Lega, FdI, FI, Pd votò contro. L’indomani Salvini aprì la crisi dal Papeete e rovesciò il Conte-1. Così lo Stato continuò a buttare soldi in un’opera inutile e dannosa che – come il Ponte sullo Stretto – tutti sanno che non si farà mai, ma viene tenuta in vita artificialmente per foraggiare clientele e mangiatoie. Poi, un giorno, la Francia dirà ufficialmente che Lione non è interessata al Tav Torino-Lione. E, per non chiedere scusa ai No Tav e a Toninelli, la Banda del Buco progetterà un nuovo Tav che parte da Torino e, giunto alla frontiera francese, fa inversione a U e torna indietro: il Tav Torino-Torino. Quanto è lenta, l’alta velocità tra Francia e Italia. Il Tav Torino-Lione viaggia da dieci anni a velocità bassissima: finora sono stati scavati solo 10 chilometri e mezzo dei 115 totali del “tunnel di base” previsto sotto le Alpi in Val di Susa. E da Parigi arrivano periodicamente segnali di non voler proprio correre per realizzare l’opera che molti analisti, sia in Francia sia in Italia, valutano poco utile, troppo costosa, sovradimensionata rispetto al reale traffico di merci e passeggeri tra i due Paesi. L’ennesimo segnale di rallentamento proveniente da Parigi ha provocato ieri la reazione stizzita del ministro italiano delle Infrastrutture Matteo Salvini: “Siamo preoccupati dalle titubanze francesi a proposito di Tav. Da Parigi ci aspettiamo chiarezza, serietà e rispetto degli accordi: l’Italia è stata ed è di parola, non possiamo accettare voltafaccia su un’opera importante non solo per i due Paesi ma per tutta Europa”. Che cos’era successo? Era filtrato in Italia il contenuto del rapporto preparato da mesi dal Coi, il Consiglio d’orientamento delle infrastrutture, l’organismo che valuta le opere pubbliche e i relativi investimenti in Francia. Il documento prende in esame i progetti da realizzare nei prossimi 17 anni, da qui al 2040. Per il Tav, stila un giudizio che se non è una bocciatura è almeno un rinvio alle calende greche: analizzata l’opera, conclude che la costruzione della tratta francese del Tav – dall’uscita del tunnel di base a St. Jean de Maurienne fino a Lione – non è prioritaria, poiché è sufficiente la modernizzazione della linea già esistente. Qualora si decidesse di realizzare comunque la nuova linea d’accesso, il Coi prevede l’entrata in esercizio non prima del 2043: vent’anni da oggi, dieci dopo la prevista entrata in servizio del tunnel di base (inizialmente fissata al 2029, poi rimandata al 2032 e ora ulteriormente procrastinata al 2033). Naturalmente le decisioni operative saranno poi prese dal presidente francese Emmanuel Macron e dal suo governo. Le incertezze di Parigi circolavano da almeno un anno. Tanto che il Fatto le raccontò già il 15 maggio 2022, segnalando il drammatico allarme mandato dal comitato La Transalpine, che in Francia raggruppa i sostenitori istituzionali e imprenditoriali della nuova linea Torino-Lione. Il 9 maggio 2022, il delegato generale di La Transalpine, Stéphane Guggino, aveva dichiarato: “Assistiamo a una costernante impasse francese. A oggi, la priorità dello Stato rimane la modernizzazione della linea storica Digione-Modane”. In Italia, l’allarme francese era stato amplificato da Paolo Foietta, capo della delegazione italiana nella Conferenza intergovernativa Italia-Francia (Cig): aveva spiegato che la nuova linea avrebbe portato la capacità della tratta italiana a 256 treni al giorno, ma del tutto inutilmente, visto che poi la vecchia linea francese avrebbe avuto “capacità di trasporto di meno di 100 treni al giorno”. C’è anche la possibilità che salti il finanziamento del 50% da parte dell’Unione europea, perché questo era subordinato alla realizzazione “dell’intera opera”, e cioè il tunnel di base ma anche “le vie d’accesso nazionali, italiana e francese”. Quegli allarmi segnalati dal Fatto un anno fa si sono ripetuti ora, con reazione di Salvini rientrata nel pomeriggio di ieri soltanto dopo aver ricevuto qualche rassicurazione dalla Francia. “Aspettiamo Parigi alla prova dei fatti”, ha dichiarato il ministro, “ma le rassicurazioni francesi arrivate dopo la nostra richiesta di chiarezza sono certamente un dato positivo”. Il ministro dei Trasporti francese, Clément Beaune, aveva infatti dichiarato che “il governo francese non ha deciso alcun rinvio nel calendario relativo al Tav Lione- Torino”, spiegando all’Ansa che le notizie di rinvii nella costruzione di determinate strutture fanno riferimento non a decisioni prese, “ma a un rapporto indipendente consegnato al governo: non si tratta in nessun caso di una decisione del governo e il nostro calendario resta immutato”. Tanto rumore per nulla, dunque? Lo si capirà soltanto dopo le decisioni di Macron, che potrebbe scegliere di stracciare il rapporto del Coi e mantenere, come garantisce Beaune, il calendario attuale: la comunicazione avverrà presumibilmente nella Conferenza intergovernativa italo-francese fissata per il 22 giugno a Lione. “È tutto surreale, come d’altronde tutta la storia di quest’opera”. Francesco Ramella, ingegnere dei trasporti, era membro della Commissione per l’analisi costi-benefici sulle grandi opere voluta dal governo Conte che nel 2019 bocciò il Tav Torino-Lione. Il rapporto del Conseil d’orientation des infrastructures francese, che propone di rimandare al 2043 la realizzazione della linea tra Lione e l’imbocco del tunnel di base, pare ora di nuovo all’attenzione del governo francese. Non la stupisce? Non è una novità, il Coi aveva già detto che non aveva senso rifare quella tratta e bisognava concentrarsi sul potenziamento della vecchia linea Digione-Modane che passa a Nord di Lione. Nel 2019 l’allora ministra dei Trasporti, Elisabeth Borne, oggi premier, scrisse al prefetto di Lione le stesse cose: ‘L’obiettivo è effettuare investimenti a breve termine nella linea convenzionale e aumentare la sua capacità fino a 10 milioni di tonnellate di merci all’anno al momento dell’apertura del tunnel transfrontaliero (2030), poi 15 milioni di tonnellate. Per quanto riguarda le nuove sezioni di linea tra Lione e la sezione transfrontaliera del tunnel, le riflessioni proseguiranno per determinare gli investimenti opportuni allo scopo di far fronte nel tempo all’aumento del traffico’. Insomma, si sapeva già tutto. E hanno deciso di procedere lo stesso. Il governo francese diceva ragionevolmente che la linea esistente è sufficiente e le decisioni vanno prese in funzione del traffico: oggi quello merci che passa dal vecchio tunnel è di 3 milioni di tonnellate annue, per arrivare a 15 bisogna dirottare sui binari quasi tutto il traffico che oggi passa su gomma dal Fréjus e dal Monte Bianco, ma è impossibile, a meno di vietarlo. Numeri noti da anni. Salvini attacca i francesi, Paolo Foietta, ex commissario all’opera e oggi a capo della Conferenza Italo-francese dice che così il tunnel sarà “inutilizzabile”. Dice il falso, ma ammette che non era sensato farlo. C’è troppa ipocrisia. Foietta non può lamentarsi perché questa cosa la sapeva da anni. I francesi dicono: c’è una linea, la potenziamo e solo quando sarà satura ne faremo un’altra. Così a loro il Tav costerà circa 2 miliardi, a noi tre, pur essendo per due terzi in territorio loro. E i costi saliranno per i rincari. Quando lo bocciaste veniste attaccati da politici e stampa. E tutto perché dicevamo un’ovvietà: costi di molto superiori ai benefici. Ricevemmo attacchi personali di ogni genere ma, passata la polemica, nessuno a livello scientifico ha contestato quei dati. Intanto le analisi costi-benefici il ministero non le fa più. Quelle sui grandi progetti ferroviari le fa Rfi, cioè la stazione appaltante, e infatti sono tutte positive. Con la nostra Onlus di tecnici, Bridge Research, le abbiamo controllate e non ci tornano i dati, ma non interessa a nessuno. Prendiamo il ponte sullo Stretto di Messina: la prima impressione è che non valga la spesa. Servirebbe fare l’analisi e discuterla, poi decidere. Invece si è già partiti.