“Se Londra fa estradare Assange sarà la fine
della libertà di stampa”
di Stefania Maurizi | 3 SETTEMBRE 2020
È il processo che deciderà i confini della libertà di stampa nelle nostre democrazie. Lunedì,
a Londra, il dibattimento sull’estradizione negli Stati Uniti del fondatore di WikiLeaks
entrerà nel vivo. Il Fatto Quotidiano ha chiesto un’analisi a Kenneth Roth, direttore di
Human Rights Watch, una delle più importanti organizzazioni internazionali per la difesa
dei diritti umani.
Quando l’anno scorso Julian Assange è stato arrestato, lei ha scritto un editoriale per il
Guardian sostenendo che ‘il modo in cui le autorità inglesi risponderanno alla richiesta di
estradizione degli Usa determinerà quanto è seria la minaccia che questo processo pone alla
libertà di stampa in tutto il mondo”. Un anno dopo, è chiaro come rispondono: tengono Julian
Assange in un carcere di massima sicurezza da oltre un anno, con il rischio che venga infettato
dal Covid. È un trattamento compatibile con la libertà di stampa?
Rimango dell’opinione che sia completamente sbagliato perseguire Assange per aver
semplicemente pubblicato i documenti segreti del governo che gli ha inviato Chelsea
Manning. Ed è particolarmente sbagliato usare l’Espionage Act, che non consente una
difesa dei whistleblower, quindi se Assange finirà davanti a una Corte negli Stati Uniti, non
potrà difendersi dicendo che ha rivelato quei file nel pubblico interesse. Il governo
americano – perfino l’Amministrazione Trump – si rende conto della minaccia che pone al
giornalismo l’Espionage Act usato contro la pubblicazione di documenti, quindi quello che
sta cercando di fare è dipingere Julian Assange come un hacker.
Un esperto di sicurezza informatica e giornalista che non è affatto un suo sostenitore ha
analizzato le accuse di hacking e ha concluso che ciò che Assange ha fatto non ha nulla a che
vedere con l’hacking: ha assistito Manning nell’accedere ai computer del governo
preservando l’anonimato. Noi giornalisti facciamo ogni giorno co