Quattrocento milioni di euro in più di spese militari. L’equivalente di 800 milioni di
mascherine chirurgiche o di 40 mila ventilatori polmonari. Mentre il nostro Paese paga il
prezzo dei tagli lineari alla spesa sanitaria degli ultimi dieci anni (37 miliardi, secondo la
Fondazione Gimbe), dall’Istituto Sipri di Stoccolma arrivano dati che creano qualche
malumore nella maggioranza: nel 2019 l’Italia ha continuato ad aumentare la spesa
militare (+0,8%) e lo farà anche nel 2020. Mentre il centro di ricerca svedese rileva
l’aumento più alto a livello globale dell’ultimo decennio (+3,6%, fino a 1,9 trilioni di
dollari), lo Stato italiano si avvicina all’obiettivo del 2% di spese militari rispetto al Pil
chiesto dalla Nato: tra il 2018 e il 2019 l’aumento è stato di 400 milioni, da 23,5 ai 23,9
miliardi (1,3-1,4% del Pil). L’Osservatorio Mil€X ieri ha calcolato al rialzo le spese militari
italiane prevedendo un ulteriore balzo in avanti nel 2020 a 26,3 miliardi, pari all’1,6% del
Pil (ma di fatto si arriverà al 2% visto il tonfo del Prodotto interno lordo causa crisi).
Sebbene dal 2010 ad oggi la spesa militare italiana sia diminuita dell’11%, un dato
inequivocabile resta: dopo la stagione del rigore, tutti i governi dal 2015 in poi hanno
aumentato il budget della Difesa per accontentare in primis gli Stati Uniti. E era proprio in
questa chiave che a inizio ottobre, prima il segretario di Stato Usa Mike Pompeo e poi il
segretario generale della Nato Jens Stoltenberg sono stati ricevuti da Giuseppe Conte a
Palazzo Chigi. Obiettivo: chiedere all’Italia un maggior impegno nelle spese militari.
L’esempio lampante è quello dei cacciabombardieri F35. Dopo il bilaterale con Pompeo,
sui giornali erano usciti retroscena secondo cui Conte aveva accettato l’acquisto di nuovi
aerei e a quel punto era esplosa la polemica in Parlamento, con i grillini da sempre contrari
all’acquisto dei caccia. Da Palazzo Chigi era arrivato il dietrofront ma a novembre il
ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha fatto partire