Mentre la Golar Tundra, la prima nave rigassificatrice acquistata da SNAM nel giugno
scorso, continua il suo viaggio verso Piombino, un territorio e una rete di sindacati e
movimenti ecologisti (da Usb e Cobas a No al Fossile, Fridays For Future, Greenpeace
fino al Collettivo della ex Gkn) insorgono per opporsi a un’infrastruttura voluta dal governo
Draghi e, checché ne dica il sindaco di Fratelli d’Italia Francesco Ferrari, fermamente
sostenuta dal partito della Meloni sia all’opposizione che una volta giunto al governo.
Il caso di Piombino, negli strascichi delle politiche emergenziali di soluzione della crisi
energetica, è la necessaria conseguenza di un forte (quanto discutibile, per la sua scarsa
sostenibilità sia economica che ambientale) aumento del GNL (gas naturale liquefatto)
importato da parte degli stati membri dell’Ue, principalmente dagli Stati Uniti: 15
miliardi di metri cubi nel 2022 (destinato a salire a 50 miliardi di metri cubi entro il 2030).
Scegliere Piombino, al di là delle agevolazioni portuali e vantaggi tecnici di allaccio alla
rete nazionale, è il manifesto di una compiuta ideologia: far gravare i costi sociali ed
ecologici della diversificazione energetica sui quei territori già contaminati (Piombino è un
SIN con criticità dovute in particolare alla presenza del riporto siderurgico a contatto con la
falda) e deindustrializzati. Un programma analogo a quello imposto a città come Gela e
Taranto (anch’esse SIN e territori dalla simile storia) più bisognosi di investimenti in
occupazione, bonifiche e compensazioni che di nuove impattanti infrastrutture.
Piombino infatti, città dall’anima di acciaio e dalle “radici di ferro”, è cresciuta attraverso la
stabile ILVA novecentesca – il secondo stabilimento più grande in Italia – poi privatizzata
(per “storica necessità”) nel 1993 con la cessione al gruppo bresciano della famiglia
Lucchini. Oggi è un territorio in dismissione: nel 2014 l’ultima colata e il fallimento della
Lucchini, quindi nel 2018 l’acquisto da parte del c