Come evitare lo scontro tra operai e
ambientalisti
Transizione ecologica. Un forte e determinato intervento pubblico nell’economia sul lato
della domanda non è una scelta ideologica e va oltre la disputa tra neoclassici e
keynesiani
Una reale transizione ecologica, ha ragione sul piano teorico Guido Viale, si può realizzare
solo attraverso il coinvolgimento di tutta la società. Ma, ci domandiamo, perché la
maggioranza dei cittadini dovrebbe farsi coinvolgere se questo richiede dei sacrifici, in
termini di comodità, sobrietà, cambiamenti radicali negli stili di vita? Rinunciare a stare in
pieno inverno con la t-shirt in casa, o tenere accesso tutto il giorno il climatizzatore nelle
torride giornate estive. Perché dovrei farlo proprio io, e che cosa cambia se i miei consumi
energetici o alimentari (a base di carne) diminuiscono, dato che rappresentano una quota
assolutamente infinitesimale dell’impatto ambientale globale. Ma, ammettiamo pure che
questo accada, che la stragrande maggioranza dei cittadini cambi stile di vita, quali
ripercussioni avrà sulla crescita economica, sull’occupazione?
Partiamo da un fatto: la società dello spreco è funzionale alla crescita del Pil, ma rema
contro la conversione ecologica. La società dell’obsolescenza programmata per i beni di
consumo non alimentari è funzionale alla crescita economica, ma è assolutamente contro
la conversione ecologica. Se, ad esempio il nostro frigorifero durasse (come avveniva fino
agli anni ’70) mediamente 30-40 anni, o la nostra lavatrice/lavapiatti durasse vent’anni e
non 5-8 di oggi, le imprese che lavorano in questo settore subirebbero un crollo della
domanda, i lavoratori messi in cassa integrazione diventerebbero nemici della conversione
ecologica se non avessero delle alternative.
Ugualmente nella filiera della plastica, dove il governo italiano, grazie anche a Renzi, si è
opposto ad una messa al bando dei prodotti monouso di plastica. Pensiamo solo
all’industria legata all’auto tradizionale con motore a scoppio. Con il